SERGIO PEREGO
Cronaca

Aldo Ghezzi: "Che festa era il Natale quando eravamo povera gente"

Il custode del piccolo museo contadino di Montevecchia racconta i piatti e i riti della tradizione, viva ancora oggi

Aldo Ghezzi nel suo piccolo museo di oggetti risalenti agli anni cinquanta

Montevecchia (Lecco), 24 dicembre 2019 - Futuro difficile per molti italiani, con risparmi in calo. Ma nessuno vuole rinunciare al pranzo di Natale, che verrà vissuto soprattutto in famiglia. Per chi ha i capelli bianchi, la memoria va però agli anni cinquanta e all’inizio dei sessanta, fino al periodo del “boom economico”. Anche allora i problemi erano grandi, ma la festa più importante dell’anno veniva vissuta comunque “con tutti i crismi”, e nel segno delle tradizioni. Anche nelle pietanze che adulti e bambini trovavano in tavola. "Ed era comunque una festa" ricorda Aldo Ghezzi, vignaiolo di Montevecchia, che nell’agriturismo del Casarigo, una delle frazioni, proporrà pezzi di storia del territorio. Una memoria di cui è custode da sempre, anche grazie agli attrezzi antichi, ora conservati nel piccolo museo contadino che si può visitare nella cantina della Valcurone.

La memoria però è fatta soprattutto di ricordi, a cominciare dalla vigilia, "Quando ci si svegliava il profumo del pane – racconta Ghezzi – per i bambini, abituati alla polenta, era il primo segno di festa". Dal mattino sulla stufa a legna o sul camino il pentolone con la “busecca” (o trippa) era il piatto che non poteva mancare. "Prima di uscire per la messa di mezzanotte, la pentola di quela pietanza, tipica della Brianza e del Lecchese, ritornava sul fuoco e il suo profumo inondava i centri storici dei paesi. Conclusa la funzione religiosa, si raggiungeva la cucina. Nelle tazze già pronte, alla busecca fumante si aggiungeva qualche fetta di polenta, che non mancava mai, o di “pane giallo”, come veniva chiamato quello cotto con farina di segale. Riti antichi di secoli, raccontati peraltro da Stendhal nel suo “Voyage in Brianza”, o, più tardi, in “Vecchia cucina in Brianza” di Ottorina Perna Bozzi. "La vigilia – scriveva quest’ultima – al ritorno dalla messa di mezzanotte si deve mangiare la busecca con tante cipolle, perchè dopo le emozioni spirituali, anche il corpo ha bisogno di essere rifocillato".

«In Brianza il Natale era povero – racconta ancora la Perna Bozzi – polenta e radicchio erano accompagnati da saracche e missoltit (pesci di lago che ancora oggi si pescano sull’Alto Lario). Ripuliti, essiccati e messi a bagno in aceto, si conservavano per Natale. Con le interiora di cappone si preparava il “poccin de intraj”, intingolo delicatissimo che avrebbe arricchito il risotto". Negli anni cinquanta, il Natale, ricorda Aldo Ghezzi, cominciava con due fette di salsicciotto di maiale, macellato giusto in dicembre. Il risotto giallo era cucinato col brodo di cappone. Come contorno le patate, l’insalata o i cetrioli sottaceto, da settembre nei vasi. I più poveri cucinavano pollo arrosto con patate al forno. Unica frutta le mele, raccolte e conservate in cassette, le castagne o le noci raccolte qualche settimana prima. Chi poteva metteva in tavola qualche mandarino o torrone comperato a Merate alla Fiera di S. Ambrogio. La sera zuppa. A S. Stefano ci si ritrovava per finire gli avanzi. "Perchè nulla – conclude Ghezzi – doveva andare sprecato". Brianza docet, anche in cucina.