
Si spazia dall’Età del bronzo al periodo dei Celti, al Rinascimento
Hanno resistito secoli, in alcuni casi millenni. Rischiavano però di non durare ancora a lungo e di deteriorarsi in fretta. Per questo alcuni reperti custoditi al Museo archeologico di Lecco sono stati restaurati. Alcuni erano esposti belle teche e nelle vetrine, dove sono tornati al loro posto, altri in magazzino. Si tratta di manufatti in bronzo, ferro e piombo, ami, spade, vasi, strumenti di uso quotidiano come tenaglie, chiodi e martelli, un elmo, una coppa. C’è anche un tubo, un regalo ai lecchesi di Antonio Stoppani quando il sistema museale lecchese non esisteva ancora. Spaziano dall’Età del bronzo, al Rinascimento, passando per il periodo dei Celti ai Romani. A prendersi cura delle preziose testimonianze è stato Franco Blumer, tra i restauratori di metalli e non solo più stimati, che, tra il resto, si è occupato del restauro della Madonnina del Duomo di Milano nel 2012. Un compito non semplice: "Il metallo tende a sfaldarsi – conferma il restauratore -. Non bisogna essere rudi, ci vuole timidezza e discrezione".
"I beni da restaurare sono stati individuati con l’archeologo e con la funzionaria della Soprintendenza – spiega Nicolò Donati, dall’anno scorso nuovo conservatore del Museo archeologico del capoluogo di provincia -. Alcuni erano già stati restaurati, altri mai prima. Si tratta di reperti che fanno parte del patrimonio pubblico, che abbiamo il dovere di custodire e tramandare, ma anche di presentare ai cittadini". Sono circa 7mila i visitatori del Museo archeologico di Lecco, i numeri sono in crescita. Molti sono stranieri, perché quando arriva un turista dall’estero, poi cerca di approfittare di tutte le opportunità che ci sono. "Possiamo però fare di più e di meglio – assicura comunque Nicolò Donati -. Tra le diverse iniziative, ricominceremo con l’attività didattica". D.D.S.