
Non imbracciano più la lupara, preferiscono girare con ventiquattrore piene di soldi. "I compari della ‘ndrangheta vogliono apparire buoni, affidabili, passare sotto traccia", spiega Alessandra Dolci (foto), capo della Dda di Milano, che ha coordinato tra il resto l’ultima inchiesta “Cardine–Metal money” per smantellare un impero milionario fondato su rottami, usura e società cartiere del nuovo padrino 72enne della criminalità organizzata lecchese Cosimo Vallelonga, che era finito in cella già due volte. Non trafficano nemmeno più in droga, semmai si spacciano per imprenditori, stimati consulenti, professionisti capaci. E in molti gli credono o, probabilmente, fingono di crederci. "L’obiettivo è quello di sostituirsi allo Stato – prosegue la responsabile della Direzione distrettuale antimafia milanese, intervenuta l’altra sera ad una conferenza online organizzata dagli attivisti di Libera Monza, Como e Lecco -. Garantiscono sussistenza, offrono protezione, amministrano la loro giustizia". È successo, ad esempio, nell’estate del 2018 a Calolziocorte, quando Luciano Mannarino, all’epoca di 29 anni, finito pure lui nell’ultima retata di febbraio, è stato investito e gambizzato dall’ex suocero padre della madre di suo figlio e dall’ex cognato fratello di lei per lavare col sangue l’onta della relazione finita male. Per riportare la pace ed evitare eventuali faide sono intervenuti da una parte il suo “mentore” Vincenzo Marchio di 37 anni, arrestato insieme a lui, “figlio d’arte” di Pierino della locale di Calolzio, dall’altra il 65enne Angelo Sirianni, catturati entrambi nel 2006 durante la precedente operazione antimafia “Oversize”, "chiamati a redimere la controversia", si legge negli atti giudiziari. Dalle intercettazioni emerge che lo stesso è successo per due imprenditori che non si accordavamo su un contratto e che si sono rivolti ognuno al proprio referente ndranghetista di fiducia per una rapida sentenza a cui tutti si sono attenuti. "Lo scopo finale non è accantonare enormi patrimoni, è l’esercizio del potere, come lo Stato", ribadisce il procuratore aggiunto Alessandra Dolci. Certo, se serve i compari della ‘ndrangheta usano ancora le canne mozze, proprio come lo Stato ricorre alla forza se necessario. Daniele De Salvo