Lecco, divieto di cibo a selvatici e randagi: insorgono le associazioni

L’ordinanza del sindaco per contrastare ratti e scarafaggi

Cigno in una foto L.Gallitto

Cigno in una foto L.Gallitto

Animalisti, gattari e gattare contro il sindaco di Lecco per l’ordinanza “affama animali“, come è stata subito ribattezzata, perché vieta di dare da mangiare sia agli animali selvatici lungo l’Adda e il lago, come cigni, papere e nutrie, che piacciono tanto a bambini e turisti, sia a cani e gatti randagi. Gli attivisti dell’Aidaa (Associazione italiana difesa animali e ambiente) lo hanno querelato per maltrattamento di aninali. "La ritiri subito – intima l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, fondatrice e presidente della Leidaa, la Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente, minacciando di ricorrere ai giudici del Tar –. È una vergogna nazionale".

Il divieto di somministrare cibo ai selvatici, pochi lo contestano: il rischio è di renderli dipendenti dagli essere umani e di “snaturalizzarli“. La parte che non piace del provvedimento, firmato da Mauro Gattinoni per scongiuare il rischio di un’invasione di ratti e scarafaggi, è semmai il veto di nutrire cani e gatti randagi, compresi magari i mici delle colonie feline.

Da Palazzo Bovara preferiscono non commentare, anche perché nell’ordinanza, oltre a diversi riferimenti normativi in materia, è espressamente specificato "fatte salve specifiche autorizzazioni con fini sanitari o scientifici", che riguardano pure i volontari che sfamano i gatti delle colonie feline.

"Eventuali problemi di igiene o di sicurezza non si risolvono limitando la libertà dei cittadini o mettendo a rischio la sopravvivenza degli animali", sostiene però la parlamentare animalista, che ricorda che a Lecco, unico capoluogo lombardo, non c’è nemmeno il canile comunale, chiuso nel 2014 e mai più riaperto.

Daniele De Salvo