
Medici e infermieri impegnati in una corsia dell’ospedale durante l’emergenza coronavirus
Lecco, 1 maggio 2020 - Oltre a dover impartire le direttive e assumere in fretta le decisioni migliori per assistere in maniera adeguata le centinaia e centinaia di ammalati di coronavirus che hanno saturato gli ospedale di Lecco e Merate, il direttore generale dell’Asst lecchese Paolo Favini ha affrontato in prima persona la "bestia" come la chiama lui, ritrovandosi nel contempo nei panni del comandante in capo e insieme di paziente.
"Ho temuto di peggiorare e finire in Rianimazione e di morire senza poter rivedere più mia moglie Riccarda e le mie figlie Marta e Anna – confida il dg -. Essere medico e conoscere i percorsi non sempre aiuta perché sai cosa ti aspetta". Ieri sera, dopo essere guarito, essere stato dimesso e terminata la quarantena ha però potuto tornare a casa dalla sua famiglia che non incontrava da più di un mese. Nonostante la situazione difficile sperimenta sulla propria pelle, preferisce però condividere gli aspetti positivi. "Ho toccato con mano l’impegno, la disponibilità, l’entusiasmo e la solidarietà di tutto il personale medico, infermieristico ed amministrativo – racconta -. Ho inoltre percepito la professionalità ma soprattutto l’empatia e la disponibilità anche umana di infermiere e di infermieri, di cui potevo vedere solo gli occhi sopra le mascherine, ma che erano una presenza positiva anche con il contatto fisico di una mano sulla spalla sotto lo strato di tre paia di guanti, di una battuta allegra e l’attenzione al mio umore. Ho sperimentato poi momenti di solidarietà importante sul territorio, per questo ringrazio ad esempio il sindaco di Bosisio Parini che, come credo tanti altri suoi colleghi, ha organizzato servizi utilissimi per i reclusi come me in quarantena, dal trasporto al domicilio delle medicine alla distribuzione di mascherine ed ad altri servizi che mi sono stati riferiti, come la consegna al domicilio della spesa. Una mia vicina, che tra l’altro è strumentista in ospedale a Lecco, si è invece offerta per qualsiasi necessità infermieristica od assistenziale: non mi sono sentito più solo, ma protetto".
Il continuare sempre a lavorare, anche in ospedale, lo ha aiutato a sopportare l’isolamento: "Ho sperimentato lo smart working e lo “smart family” - commenta -, confesso però che preferisco nettamente la presenza ed il contatto con famiglia, collaboratori ed amici".