Nell’inverno della nostra umanità, nella stagione che vede schiere di italiani guardare con ostilità e malanimo i migranti che bussano ai confini, ci sono piccole storie che riaccendono la fede nel prossimo. Una di queste storie porta il nome di Amadou, un ragazzo che a 16 anni ha viaggiato dal Senegal alla Francia per poi arrivare a Milano. Ora, immaginate di non conoscere una singola parola di italiano, immaginate di mettervi a studiare ogni giorno, prendere la licenza media, la maturità e poi decidere di studiare e studiare ancora, tentare di entrare all’università, fallire, non demordere, provare e riprovare, riuscirci e infine, dopo anni da pendolare, laurearvi. È questo che Amadou ha fatto negli ultimi dodici anni. Il suo nome, di origine araba, significa “molto lodevole”. Potrebbe dirsi un predestinato, ma questa svolta di gloria non sarebbe stata possibile senza due persone: la madre affidataria che lo ha sostenuto e il preside che ha creduto in lui accompagnandolo fino alla laurea. Due italiani che verso le onde affollate di naufraghi lancerebbero, certamente, una corda. Nell’inverno della nostra umanità, sono donne e uomini come loro a portare la primavera.
Editoriale e CommentoSvolte di gloria e umanità
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