Editoriale

L’indescrivibile fuoco di San Siro: l’amore, la fede, la mia gente

Cari amici de Il Giorno, innanzitutto grazie per l’opportunità.

Mi sono chiesto tante volte cosa significhi per me San Siro? Sono un ragazzo, un ragazzo cresciuto ormai, che però ha passato la vita a sognare di fare musica. San Siro è una Mecca, no? Cioè, ci sono pochissimi posti in Italia che rappresentano qualcosa di grande. Il Forum sicuramente, lo Stadio Olimpico, il PalaEur… ma San Siro sta lì come una gemma gigantesca. Il vantaggio degli artisti della mia generazione è che noi abbiamo dovuto fare la gavetta. Cioè, ci sono voluti anni per me e per tanti altri per vedersi aprire le porte di San Siro.

E tra l’altro non è stato neanche scontato. Come non lo è ancora oggi. Quindi, per me San Siro è un grande educatore. Cioè, è arrivato nella mia vita molto tardi, dopo quasi 15 anni di carriera, quindi, io rispetto quel posto come se avesse una sacralità anche religiosa volendo. Per me è assolutamente un luogo di fede: io ho fede nelle persone che vengono a vedermi, e loro in me che ce la metto tutta. Quello che si concretizza è un atto di fiducia.

San Siro è tutto questo e un altro milione di cose… Ovviamente, è stato i concerti degli altri. Ho visto Vasco innumerevoli volte, Vasco è come andare a scuola: è la parte emotiva e la parte razionale. Ho pianto con Vasco, o meglio, dagli spalti, mentre cantava. Ed è stata un’esperienza meravigliosa, una delle più belle della mia vita. Paragonabili soltanto a Bono e la sua band di amici, li vidi due sere di seguito e fu un’emozione completamente diversa. Però sotto la cornice di San Siro, che li rendeva parte della stessa famiglia. E proprio in virtù di questo credo che poter dire che ho cantato anche io a San Siro – come loro – è uno dei punti più alti della mia vita come essere umano e anche come artista e cantautore.

Poi ho visto Rihanna, ho visto quel concertone di Beyoncé e J-Zay. Ho cantato al concerto di Laura Pausini, nel 2007, quando portò dal vivo lo spettacolo “Io canto”, nel quale io sono stato l’unico ospite maschile. E quella è stata la prima volta a San Siro. Però con le spalle, anzi, con lo sguardo rivolto verso il pubblico, invece che da spettatore.

Ma soprattutto per me San Siro è diventato gratitudine e estremo senso della realtà, perché ogni volta che salgo su quel palco penso che potrebbe essere l’ultima e che potrei essere stato semplicemente fortunato a essere lì in quel momento. E me la godo sempre come fosse l’ultima.

La prima volta che sono salito sul palco di San Siro ero stracarico di nervosismo. Avevo proprio quella che si definisce “ansia da prestazione”. Dopodiché, ammetto che mi son guardato allo specchio e mi son detto: ‘Guarda, Tiziano, queste persone sono qui per vederti fare quello che sai fare. Loro sanno già chi sei. Non devi inventare nulla. Porta te stesso come hai fatto nei club semivuoti, nei teatri semivuoti che poi sono diventati pieni, talmente tanto che si sono trasformati in palazzetti’.

Io sono arrivato a fare San Siro a 35 anni. E per me il peso di quel percorso è stato necessario, perché oggi come oggi, come dicevo prima, ho un atteggiamento di amore superiore verso questo luogo.

La prima volta, la primissima volta, fu bruciata dall’emozione. Me la sono goduta, ma è stato come se il mio corpo non fosse riuscito a trattenere fino in fondo tutte quelle immagini e quelle sensazioni: è stato così intenso. Poi ci sono tornato e me la sono goduta un po’ di più. Ma è sempre un’emozione nuova. Ora, tornare dopo sei anni, dopo la pandemia che ha sconvolto l’Italia e il mondo intero non so che effetto mi farà.

Mi affido, come dicevo prima, alle persone. La fede, non in senso strettamente religioso (questa parola esisteva già prima delle religioni) è proprio un affidarsi, no? A qualcosa o qualcuno o un gruppo di persone, come nel mio caso che così alla cieca possono avvicinarsi a te e darti quello che hanno da offrire, ovvero amore. Per cui tre date hanno questo senso per me. Mi riempiono di orgoglio.

Nel brano “Il Paradiso dei bugiardi” dico ‘scusa ho tre sere a San Siro’ ma non per spocchia anzi proprio per sdrammatizzare, è precisamente il contrario. La sindrome dell’impostore si dice no? Pensare spesso che “6 lì“ e non te lo meriti. Invece, poi quando vedo che c’è un oceano di persone che non solo hanno già acquistato un biglietto, ma molti lo hanno acquistato sei anni fa e non l’hanno voluto restituire perché sono stato forse l’unico artista che non ha rimandato al 2022 ma ha offerto l’opportunità di rimborso. Che è stata accolta davvero in minima parte quindi se non è un gesto d’amore questo, ditemi voi quale altro può essere un gesto d’amore? D’amore tra le persone e un artista.

Ovviamente mi piace pensare di aver superato i 40 e di essere in una fase così bella della mia carriera. Ma mi piace soprattutto che ad occupare il posto più alto nel podio delle cose importanti ci sia un concerto, anzi tre, che poi sono l’espressione più antica e più bella della musica, no? Cioè, dall’antica Grecia ad oggi. L’artista si mette a nudo su un palcoscenico e diventa quello che il suo pubblico vuole che diventi. Quindi, le mie canzoni diventeranno la tua storia, anche se le ho scritte io, le sto cantando io.

Fare un tour negli stadi è qualcosa di enorme per un artista. I tour, post pandemia, lo sono ancora di più. Perché in tanti, parlo degli artisti, a un certo punto hanno pensato che non potesse succedere mai più. Io ho sempre avuto molta, molta fiducia. Però devo essere sincero. Sei anni per un artista in attività, cioè che non si è ritirato, sono tantissimi. È un’era geologica. Nel corso della vita di un artista ho visto passare quest’era geologica con i miei occhi, anche con gli occhi di chi mi segue. Tornare dopo 6 anni, inutile dirlo, avrà un peso emotivo indescrivibile.

So che questa è la stagione più ricca di San Siro: 21 concerti. Penso sia un bellissimo messaggio perché vuol dire che, nonostante viviamo in un periodo in cui tutto è elettronico, telematico digitalizzato alla fine la forma, come dicevo prima, più antica della musica, vince su tutte.

Quindi un cantante, una band, vanno su un palco, le persone li ascoltano, cantano con loro, vivono un momento, un’emozione, creano ricordi. Sicuramente ci saranno delle proposte di matrimonio, ci sarà un primo bacio… riconosco molta importanza, la magia della musica. Ho spesso detto che la musica mi ha salvato la vita perché è stata una porta da aprire per poter buttare fuori. Sfogare una serie di elementi che rendevano complessa la mia vita e che non riuscivo a sintetizzare.

La musica era lì. E c’è ancora oggi. Per me e per chi ci vuole essere con me. Prendo questo mestiere sul serio, tagliare di nuovo il nastro di San Siro sarà incredibile e lo tratterò con tutta l’educazione, il riguardo e l’amore che questo evento merita per me e anche per la città di Milano che può tornare a San Siro a vedere uno o più di questi 21 concerti. Il concerto a San Siro d’estate fa parte del dna del milanese, ma non solo del milanese. Tantissime persone vengono da tutta Italia per godersi quella magia, assolutamente unica e speciale. Milano è una città che respira musica. Tutti passano per Milano. Tutti gli artisti internazionali, se fanno una data in Italia, ovviamente o è Roma o Milano o entrambe. Quindi il carattere del Milanese è meraviglioso per i concerti e lo dico sempre perché c’è un fuoco indescrivibile, ma anche una grandissima cura e attenzione ai dialoghi, all’osservazione.

Ho sempre avuto l’impressione che Milano mi capisca molto bene ed è sempre stata una casa, una vera e propria casa per me, anche quando non ci ho vissuto. E in questo momento vivo così lontano che lo sento bene quali sono i posti che mi gridano “casa“. E Milano è sicuramente uno di quei posti. Per le sorprese e per lo spettacolo leggermente diverso, o comunque molto riconoscibile rispetto agli altri. Posso annunciare che ci saranno delle sorprese che non voglio svelare, ma sicuramente le date di San Siro avranno degli elementi speciali qui.