L’occasione fa l’uomo ladro. Lo sa l’onesto tabaccaio napoletano che l’anno scorso scappò con un biglietto della lotteria da 500 mila euro rubato a un’anziana cliente. E lo sa pure l’irreprensibile dipendente brianzolo che si è intascato i soldi provenienti da decine di falsi resi di merce. Ma nella ciclica e ripetitiva cadenza con cui avvengono queste cronache, fa riflettere l’istante originante l’atto di rubare.
Il dipendente brianzolo, ai carabinieri, ha confessato quanto segue. “Non so neanche perché l'ho fatto. Non ho vizi, ho un lavoro sicuro e una casa dove convivo e per cui sto pagando il mutuo. È partito tutto da un errore fatto quattro mesi fa al registratore di cassa, dove ho visto che sui resi per un meccanismo sbagliato usciva uno scontrino e si apriva il cassetto dell'incasso e da allora non so perché ogni tanto l'ho rifatto e ho preso dei contanti”. Alla fine, i seimila euro sottratti all’azienda non li ha spesi, né nascosti. E dopo l’arresto li ha riconsegnati.
Pare di vederla, nella testa dell’impiegato, la battaglia etica che affollava i suoi giorni. Non c’era necessità, né povertà, né ragion pratica per il suo furto, nulla di tutto questo: ad ammutolire l’imperativo morale che vuole gli uomini onesti è bastata la mera disponibilità del denaro. Eppure ogni volta che l’impiegato tornava a casa col malloppo, ecco riaffiorare quello stesso imperativo morale. E con esso la consapevolezza di aver fatto qualcosa di sbagliato.
D’altronde, chi non ha mai vissuto quel conflitto? Magari quella volta che abbiamo fatto un viaggio a scrocco senza biglietto, oppure quando al ristorante il cassiere si è scordato di battere una bottiglia di vino. Abbiamo denunciato il fatto al capotreno o all’oste? Dove abbiamo tracciato il confine morale? A ben vedere, forse non è il ladro là fuori che dovremmo temere, ma il ladro che è in noi.