ANDREA GIANNI
Economia

Industria, poche operaie e malpagate in Lombardia: “In un anno seimila euro in meno”

L’indagine Fim su 350 ditte: la differenza salariale arriva al 26% del lordo nelle aziende più piccole. “Le cause? Cura di figli o genitori anziani sulle loro spalle. Part time, stop alla carriera e niente bonus”

Sono poche in Lombardia le donne operaie

Sono poche in Lombardia le donne operaie

Milano, 11 maggio 2025 –  La differenza salariale di genere, nel settore metalmeccanico, vale quasi seimila euro.

È il dislivello tra la retribuzione media lorda annua (Ral) di un uomo, 39.717 euro, e quella di una donna, che resta ferma a 33.754 euro, il 15% in meno. Un divario che cresce nelle aziende più piccole, perché in quelle sotto i 100 dipendenti il gap uomo-donna arriva al 26%.

Una fotografia delle condizioni di lavoro delle donne nell’industria lombarda scattata da un report della Fim-Cisl, che ha analizzato i dati di 350 aziende nel variegato mondo della metalmeccanica, che va dall’Ict alla siderurgia, dalla miriade di officine delle province lombarde ai colossi della difesa e dell’automotive. Un mondo dove la presenza femminile, pur in crescita, è ancora minoritaria. Sul totale degli occupati solo il 22% è donna, arrivando al picco del 30% nella Città metropolitana di Milano, dove però si concentrano funzioni più impiegatizie per la presenza dei quartier generali dei big del settore, in particolare dell’Ict. Il lavoro da operaio, non solo nella classica manifattura ma anche nelle aziende a più alto tasso tecnologico e con le funzioni più avanzate, segna ancora un netto predominio maschile, con una presenza femminile che resta al 14,6%. Dato che solo il 15,2% dei dirigenti e il 23% dei quadri lombardi è donna, le “quote rose“ restano concentrate nel lavoro da impiegato, spesso part time, con scarse possibilità di avanzamento di carriera e quindi stipendi che con il passare degli anni restano fermi al palo. “Sono stati fatti passi avanti, perché ad esempio l’occupazione femminile nel metalmeccanico è cresciuta di circa il 3% – analizza Mirko Dolzadelli, segretario generale della Fim-Cisl Lombardia – solo che le differenze di genere restano spiccate e la strada da percorrere è ancora lunga. Dalla ricerca emerge che nelle aziende dove esiste una contrattazione di secondo livello, e dove c’è una presenza sindacale forte, il divario è più contenuto”.

La ancora scarsa presenza delle donne, inoltre, “fa emergere il problema della mancanza di attrattività di un mondo che è alla ricerca di figure professionali da formare e crescere. Per questo – conclude – una riflessione dovrebbe coinvolgere anche il mondo della scuola”.

Alle radici del divario salariale c’è, come in tutto il mondo del lavoro, una cura di figli piccoli, genitori anziani, parenti disabili o malati, che ricade ancora, quasi sempre, sulle spalle delle donne. Spesso sono costrette a optare per contratti part time, a rinunciare a straordinari, trasferte o turni meglio pagati.

Questa minore flessibilità, spesso forzata da esigenze familiari – si legge nel rapporto – vede le donne, escluse o parzialmente escluse dall’elargizione di misure “premiali” come i superminimi, che vengono erogati a totale discrezione dell’impresa che può nella distribuzione degli stessi, seguire logiche che non sempre puntano sulla qualità, sulla professionalità ma di frequente su quanta presenza si ha in azienda”. Nelle aziende dove “non è presente nessun tipo di contrattazione aziendale collettiva, per sua natura solidaristica e egualitaria, le differenze fra uomini e donne si allargano”, perché gli aumenti di stipendio restano legati a leve legate alla contrattazione individuale come superminimi o premi di produttività. La conclusione del report fa emergere un allarme per i prossimi anni: “Questa sottorappresentazione femminile nel mercato del lavoro ha risvolti economici, sociali, professionali ed etico-morali che, nel medio termine, se non

cambieremo il passo, ingesseranno ancora di più il mondo del lavoro e la nostra società”.