Guerra in Ucraina, Italia più povera

Imprese e cittadini fanno i conti con caro bollette, prezzi alle stelle e un'inflazione che fa paura

La guerra in Ucraina rischia di mettere a repentaglio la ripresa delle economie europee. E i costi per l’Italia potrebbero essere elevati: 155mila imprese hanno già registrato delle perdite mentre 770mila persone sono in pericolo di finire sotto la soglia di povertà. Sono questi i risultati di uno studio (Ukraine economic schock) realizzato dalla Banca europea per gli investimenti (Bei). Ma andiamo con ordine. Gli effetti del conflitto non colpiscono i Paesi del vecchio Continente allo stesso modo. Alcuni, come la Polonia e gli Stati confinanti con Kiev, devono sobbarcarsi il peso di quella che è diventata una vera e propria crisi umanitaria, con circa 7 milioni di ucraini che si sono rifugiati all’estero. Altri risentono del blocco dell’export verso le zone interessate dal conflitto e verso la Russia. Altri ancora, infine, dipendenti da Mosca per il petrolio e il gas, come l’Italia, subiscono l’impennata dei costi energetici e di tutti i cascami in termini di inflazione e riduzione dei consumi.

Del resto, non è un caso che la Commissione europea abbia rivisto al ribasso le proprie stime di crescita per quest’anno di circa un punto percentuale, portandole sotto al 3% dal 4% previsto fino a pochi mesi fa. E questo senza considerare l’incertezza riguardo a quello che potrà accadere di qui alla fine dell’anno: dall’azzeramento dei flussi di gas russo, già dimezzato la scorsa settimana, a ulteriori difficoltà nel commercio estero passando per un inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia. Ecco, tutti elementi che, secondo la Banca europea per gli investimenti (Bei), potrebbero portare l’intera economia del Vecchio Continente in recessione. Anche perché la guerra è andata a incidere su un tessuto produttivo che, con difficoltà, si stava riprendendo dalle ferite inferte dai lockdown imposti negli ultimi due anni per contrastare la pandemia. Tessuto che, proprio nel momento in cui i governi europei hanno cominciato a ritirare i sostegni varati nel 2020 per far fronte al Covid, si è trovato a fare i conti con uno scenario imprevedibile fino a poco tempo prima: la guerra.

"La crisi del Covid ha indebolito le imprese europee", si legge nello studio realizzato dalla Bei "in particolare quelle piccole". Adesso, queste aziende "stanno combattendo contro prezzi energetici elevati, scambi commerciali ridotti e un incremento del costo dei finanziamenti dal momento che le banche cercano di evitare rischi". Insomma, il quadro è piuttosto preoccupante. A pesare, in questo contesto, sono soprattutto le bollette energetiche, raddoppiate in un anno, e la sospensione totale delle esportazioni verso Ucraina, Russia e Bielorussia. Finora, inoltre, le imprese non hanno scaricato i maggiori costi di produzione sui prezzi ma hanno preferito ridurre i margini di profitto in modo da non perdere quote di mercato a vantaggio dei concorrenti. Per la Bei, la percentuale di aziende che registra delle perdite è cresciuto dall’8 al 15%, mentre quelle che rischiano di fallire sono aumentate dal 10 al 17% dall’inizio del conflitto.

Se i Paesi più colpiti sono Polonia, Grecia, Croazia e Spagna, anche l’Italia sta risentendo della difficile situazione internazionale: sono 155mila le imprese che hanno riportato delle perdite, il 9,6% in più rispetto alla media degli ultimi anni. Di queste, ben il 9% accusa i rincari energetici mentre soltanto lo 0,6% il blocco delle esportazioni. La Russia e l’Ucraina, infatti, non sono dei mercati di sbocco per le merci europee particolarmente importanti: il commercio con questi due Paesi vale circa l’1,1% del Pil dell’Ue. Tuttavia, entrambi rappresentano dei fornitori quasi insostituibili per numerosi prodotti. Oltre al gas, al petrolio e al carbone (in dieci Paesi europei la dipendenza energetica da Mosca supera il 50%), la Russia e l’Ucraina esportano beni alimentari, come il grano, la farina, i fertilizzanti e semilavorati siderurgici. La distruzione di siti produttivi e il blocco di infrastrutture logistiche nodali come il porto di Odessa, sta già facendo sentire i suoi effetti, dei quali la crisi alimentare che inizia a sconvolgere i Paesi africani è soltanto quello più evidente. Le difficoltà negli approvvigionamenti da parte dei clienti europei, infatti, rallenta la produzione e fa salire i prezzi. In una parola: inflazione. Inflazione che va a colpire soprattutto i lavoratori a reddito fisso e le famiglie meno abbienti. E che non a caso i governi hanno cercato di contrastare con sussidi, tagli alle accise sui carburanti e misure una tantum.

Ma la corsa dei prezzi, che in Europa le ultime proiezioni vedono stabilmente sopra il 6% per tutto il resto del 2022, in salita del 2,5% sulle stime precedenti, va a ridurre i consumi, contribuendo pertanto ad affossare la crescita dell’economia. Il pericolo, paventato da molti, è quello della stagflazione, una trappola nella quale alta inflazione e una crescita bassa (o nulla) si combinano insieme. Debellarla, una volta che ha preso piede, è molto difficile. Secondo le stime della Bei, l’incremento dei prezzi del 2-2,5% determinato dalla guerra può ridurre i consumi privati dell’1,1% nei Paesi Ue. Ma il peso dell’inflazione non viene distribuito in modo equo: "gli aumenti dei prezzi del cibo e dell’energia colpiranno duramente le famiglie più povere» prosegue lo studio. Tuttavia il divario non è solo tra classi sociali ma anche tra Paesi. "Le famiglie a più basso reddito dei passi più ricchi dell’Europa occidentale e settentrionale sono in grado di assorbire meglio gli aumenti dei prezzi delle famiglie dell’Europa centrale e meridionale, principalmente grazie al fatto che il tasso di risparmio e i redditi nel complesso tendono a essere maggiori". Per l’Italia, la fiammata dell’inflazione di questi mesi potrebbe tradursi, se la situazione non migliora, in un aumento dell’1,3% della popolazione a rischio povertà: si tratta di 770mila persone. Al fine di evitare che ciò avvenga, la Bei consiglia agli Stati europei di provvedere "con reti di sicurezza" sociale. "I fondi dei governi e le politiche pubbliche hanno fatto un lavoro abbastanza buono nel tenere sotto controllo la povertà durante la pandemia. Ma forti incrementi dei prezzi pongono una nuova minaccia".