Così dipingeva Cremona: la Scapigliatura a Pavia

In mostra i pittori italiani che ruppero coi canoni dell'accademia e si avicinarono all'impressionismo francese di GIAN MARCO WALCH

«Le curiose», acquerello su cartoncino di Tranquillo Cremona

Pavia, 25 febbraio 2016 - Individui di ambo i sessi, fra i venti e i trentacinque anni, pieni d’ingegno. Una casta “vero manicomio del secolo”, che conosce i dolori e le speranze sconosciuti ai giovani dabbene e alle fanciulle guardate a vista, alle donne che amano il marito e agli uomini seri. “Questa casta io l’ho chiamata la Scapigliatura”. Così nel 1862 il romanziere Cletto Arrighi inventava il termine che si sarebbe conquistato ampia fama nel mondo dell’arte. Fama letteraria, certo, ma non solo. Provvidero presto i tre “nani”, Daniele Ranzoni, Tranquillo Cremona e Giuseppe Grandi, a regalare alla Scapigliatura la gloria della pittura e della scultura. Scapigliata, nel senso più banale della parola, la “comunità dei nani giganti” lo era davvero. “Ranzoni era fortissimo di spalle e trasportava su di esse accovacciati Grandi e Cremona, ciascuno dei tre recando due candele in mano – la descrizione di Carlo Dossi in una delle sue seimila “Note azzurre” -. E camminavano di notte per le strade, dicendo di fare la bestia infernale”.

Ma davvero scapigliata era anche la loro arte: basta con la pittura storica, con l’ossessione dei chiaroscuri atmosferici, con i paesaggi da riprodurre in dettaglio, piuttosto libero slancio ai chiaroscuri emozionali, personali, a scenette amorose e a un “non finito” che lascia spazio all’immaginazione, e anche il ritratto, quando si ritrova soggetto della tela, è interpretato al dolce fuoco di un approccio intimista. E via persino Hayez, grande, immenso, ma ormai consegnato alla storia, modello, magari irripetibile, per tranquilli allievi d’accademia. Meglio riscoprire il Piccio, la sua sconcertante modernità.

Un'altra tappa di un percorso alla riscoperta dell’Ottocento, prima francese, poi italiano, “Tranquillo Cremona e la Scapigliatura”, la nuova mostra ospitata a Pavia nelle sempre suggestive Scuderie del Castello Visconteo. Su ideazione di ViDi, Susanna Zatti e Simona Bartolena l’hanno curata esponendo una sessantina di opere attorno all’artista considerato il caposcuola: opere sue, dei suoi compagni d’avventura, dei suoi seguaci, più o meno sinceri nel riconoscere, o nel negare, le loro ascendenze. Tanto che nel dialogo fra le varie opere, anche fra quelle prestate per l’esposizione e quelle selezionate nei tesori locali – Pavia è fascinosa città d’arte, mai dimenticarlo -, il gioco dei rimandi è talvolta quanto mai esplicito: il “Ritratto di Benedetto Junck” eseguito nel 1874 da Cremona è assolutamente contemporaneo alla tela di Eugenio Gignous intitolata “Tranquillo Cremona in atto di dipingere il ritratto di Benedetto Junck”. Piacevole, dunque, confrontare i dipinti, soprattutto i Cremona e i Ranzoni, maestro nei contorni sfocati.

Ma vale anche per Grandi, scultore, quindi caso un po’ a sé: da Medardo Rosso a Ernesto Bazzaro. Da non perdere, in mostra, un Segantini, per fortuna senza le ossessionanti mucche. E soprattutto le tele di Luigi Conconi, la sua pittura sinuosa in transito verso il Simbolismo, l’Art Nouveau, la bocconiana “Città che sale”.