
Fondazione ICA celebra due artiste con l’inedita mostra su Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri. La curatela di Maurizio Cattelan con Marta Papini: "Io e Maurizio ci pensavamo da qualche tempo".
Così diverse, eppure così uguali. Trasversali, interdisciplinari. Libere. Ironiche. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, non si sono mai incontrate, e non è detto che sarebbero andate d’accordo, ma è come se si fossero sempre parlate. Nate negli anni ’40 del Novecento, negli anni ’60 la prima studiava all’Università di Vienna, la seconda all’Accademia di Milano. Entrambe, però, hanno approfondito il ruolo della donna in casa e nel mondo durante gli anni Settanta e Ottanta. Indagando il corpo femminile e il rapporto con l’abito come espressione identitaria. Proponendo vie "diverse" ma sempre rivoluzionarie, spiega Marta Papini curatrice con l’artista Maurizio Cattelan della mostra “Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri“, (sino al 15 marzo, ingresso libero) per la Fondazione ICA. Rivoluzionarie senza retorica. "Birgit privilegia una dimensione più intimista, surrealista, legata alla metafora del sogno". Così, la si vede in un autoritratto, in cui si raffigura seduta su una sedia al centro di una stanza con in braccio un’altra sé. Oppure mentre si ritrae in una partita a tennis solitaria: la sua testa si trasforma in racchetta mentre si lancia continuamente la palla. Cinzia Ruggeri "creava "sculture indossabili". Con Stivali d’Italia, raddoppia lo stivale che simboleggia la penisola italiano e lo affianca con oggetti come due pochette che però hanno la forma delle due isole maggiori italiane, la Sicilia e Sardegna.
Diversi modi di rendere il concetto di sdoppiamento. Entrambe avevano poi la fascinazione per le ombre. Il percorso espositivo presenta Colombra (1990) di Ruggeri, una scultura divano che rappresenta la sagoma di un’ombra che ha il suo pari nel grande disegno di Jürgenssen, in cui l’ombra di un corpo si trasforma in un uccello. E poi ci sono una serie di fotografie della Jürgenssen che danno origine ad un gioco di luci e ombre come ad esempio Untitled (finger cots, 1988). Insomma, la loro arte, libera , era un modo per "fare rumore", per affrontare tematiche legate al corpo, all’identità femminile e alla trasformazione. E farci sapere che ci sono le vie d’uscita. Indimenticabile Cinzia Ruggeri (deceduta nel 2019), realizzò l’abito che Antonella Ruggiero indossò per la cover dei Matia Bazar.
E persino Dino Buzzati ne restò affascinato, tanto da scriverle il testo di presentazione della sua prima mostra nella Galleria del Prisma di Milano.