
Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio in scena con “Plaza Suite“
Un appartamento elegante. Nel cuore di New York. Un luogo intimo, eppure anonimo. Dove s’intrecciano gli amori buffi e quelli disperati, le passioni stanche e quelle furiose. Incontenibili. Anche se poi con Neil Simon é soprattutto la risata ad averla vinta su tutto. La commedia raffinata. Che funziona ancora una meraviglia. Da stasera al Manzoni si rivede allora il suo "Plaza Suite", regia di Ennio Coltorti, con protagonisti Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio. Qualcuno si ricorderà il film di Arthur Hiller (con uno straordinario Walter Matthau). Qui ci si affida invece ad una coppia affiatatissima. Chiamata ad interpretare tre amori complicati e piuttosto esilaranti. Accolti nella stessa suite del Plaza. Comunque meglio di lanciarsi i piatti in un tinello di periferia.
Ma da quant’è che lavorate insieme?
DC: "Siamo al quinto spettacolo, abbiamo scoperto di avere una grande complicità. Sono sempre stata fortunata rispetto ai colleghi. Ma con Corrado si lavora nell’ascolto reciproco, senza competizione. Ed è molto bello vedere come conosciamo a memoria il ritmo dell’altro, le sue pause. Una specie di alchimia". CT: "C’è poi da dire che in particolare al Manzoni il pubblico ci ha proprio adottato".
Neil Simon avrebbe potuto scrivere un episodio anche su di voi.
DC: "Esatto! Siamo una coppia di fatto del teatro italiano".
Come sono invece quelle sul palco?
DC: "Nel primo racconto ci ritroviamo nel più classico dei clichè: un matrimonio stanco, lei cerca di ravvivarlo, lui ha una storia con la segretaria. Amo molto la donna protagonista, che prova ad utilizzare tutte le sue armi: la dolcezza, la seduzione, l’abbraccio materno. Nel secondo un produttore invita nella suite la sua vecchia fiamma del liceo con la speranza di concludere in gloria ma la ragazza nel frattempo è diventata una sorta di casalinga di Voghera, o meglio del New Jersey. Un gioco di schermaglie che lascia un po’ di spazio all’improvvisazione. L’ultimo episodio è molto divertente: moglie e marito cercano di convincere la figlia ad uscire dal bagno, dove si è rintanata perché non vuole più sposarsi". CT: "Neil Simon è lo Shakespeare delle commedie brillanti e in questo caso è come vedere tre spettacoli in uno, passando da situazioni davvero comiche ad atmosfere che sfiorano "Scene da un matrimonio". Con misura, ovviamente".
Cosa rappresenta per voi il teatro?
DC: "Per me continua ad essere la ricerca di un miglioramento, come andare in palestra. E consideri che ormai lo faccio dal 1997. Anni prima avevo interpretato la Lulù di Wedekind per la regia di Tinto Brass e non pensavo di proseguire. Poi arrivò invece una di quelle telefonate che non puoi rifiutare: Mario Monicelli mi voleva per "Una bomba all’ambasciata" da Woody Allen. E lì è scoccata la scintilla. L’ho scelto tralasciando altri progetti e non ho nessun rimpianto. Ho il livello e il tipo di visibilità che mi interessa avere". CT: "A me fa sentire sempre un ragazzino. Con la paura di non poter sbagliare nulla ma anche con lo spirito di chi sta andando a giocare".
Un po’ come quando si allenava con la sua Sampdoria?
CT: "Non ero male, avevo i piedi buoni ma non la testa. Un po’ alla Cassano. Pensavo ad altre cose, dal teatro alle ragazze, quest’ultima una vera e propria passione inesauribile. Ma se non avessi fatto l’attore probabilmente sarei finito all’Accademia di Livorno per diventare ufficiale, come voleva mio padre, un Ammiraglio della Marina. Il mare ha il suo fascino".
Il momento più bello?
DC: "La prima de "L’anatra all’arancia", qui al Manzoni nel 2009, che poi fu anche il nostro esordio come coppia. Ci penso sempre con grande gioia". CT: "Il debutto di stasera al Manzoni". Risposta da vecchio lupo della scena... CT: "Ha ragione. Ma le assicuro che è così. Ed è da lì che passa sempre l’emozione, l’energia".