Paolo Rossi è Scorrettissimo me: "L’improvvisazione è disciplina"

L’attore al Gerolamo: "Anche sulle barricate ci vuole qualcuno che porti risate, insieme a pizze e birra"

Paolo Rossi

Paolo Rossi

Milano, 11 febbraio 2023 -  Il cabaret. E la Commedia dell’Arte. In mezzo ci sta lui: Paolo Rossi. Cresciuto a pane e improvvisazione, l’occhietto furbo da eterno discolo del teatro. Sul palco ogni sera a ricordare che il re è nudo. Da martedì lo si ritrova al Gerolamo con il suo “Scorrettissimo me“, l’ultima evoluzione del progetto “Per un futuro, immenso repertorio“ nato in tempi di lockdown (biglietti da 10 euro). Due ore di risate. In bilico sul baratro del mondo. Accompagnato dalle musiche dei Virtuosi del Carso.

Paolo, il titolo racconta molto di lei.

"In realtà il problema della correttezza non me lo pongo nemmeno, continuo a parlare come ho sempre fatto. Ma in tv effettivamente mi fecero subito notare il mio linguaggio, appena ci misi piede. Dicevano che ricordavo Lenny Bruce. Ti confido però un segreto".

Prego.

"Spesso la questione è solo come dici le cose, come le porgi al pubblico. Per questo noi Comedians all’epoca avevamo un motto: “Trasgredire per trasgredire trasforma il trasgressore in traditore“. Quasi uno scioglilingua. Perché la provocazione gratuita non funziona, devi sapere cosa dire e in che modo". Una questione di disciplina? "Esattamente, che poi è la base dell’improvvisazione. Uno stare sul palco che può sembrare anarchista e senz’altro lo è. Ma possiede al suo interno una disciplina militare".

C’è molta improvvisazione nello spettacolo?

"Almeno il 70% del totale, cifra che posso dire con precisione in quanto chimico. Anche il titolo è già cambiato otto volte. Di base rimane un lavoro che racconta delle nostre vite in maniera diversa ogni sera, a seconda di quello che ci succede intorno".

Cosa l’ha ispirata ultimamente?

"A livello di satira politica niente, abbiamo il governo che ci meritiamo, siamo una democrazia. C’è poco da dire. Più complessivamente invece l’essere umano, un animale sociale molto buffo, che oggi balla fra il ridicolo e il drammatico. È un qualcosa che ho respirato con grande chiarezza facendo spettacolo nelle piazze, nei bar, nei cortili. Dove percepisci anche la natura ultima del nostro lavoro: l’essere un genere di conforto nobile e laico, dallo spirito guerriero. D’altronde anche sulle barricate ci vuole qualcuno che porti una risata, insieme alle pizze e alla birra".

Davvero legge il suo lavoro solo in termini di intrattenimento?

"Sì, perché altrimenti devi assumerti la responsabilità delle conseguenze e fare attenzione che non diventino il fine ultimo del tuo lavoro. Con il rischio di prenderti troppo sul serio, ultimamente è successo… Ma i comici sono chiamati a distruggere, ci vogliono altre competenze per costruire. Noi mettiamo bombe nei cervelli, non pensiamo all’urbanistica di Milano".

Ma come vede trasformarsi il Paese?

"Vive sul confine fra realtà e finzione, che ormai sono difficili da distinguere. Certo i tempi stanno cambiando. Pensa che su dieci richieste per lo spettacolo, più della metà sono in spazi non teatrali. Anche questo è un fatto".

Nei prossimi mesi?

"Ho un film a maggio, dopo la bella accoglienza avuta da "Acqua e Anice" di Corrado Ceron, peccato solo sia stato così poco nei cinema. La tv non mi manca. E per il resto spero di girare e di continuare a fare tutto esaurito. Vorrei quindi che queste date al Gerolamo fossero anche un depliant pubblicitario per quello che facciamo. Ci offriamo per eventi di ogni tipo: dalle serenate alla liberazione degli ospizi. Perché alla fine il teatro rimane sempre un rito festoso".