Milano, 4 settembre 2016 - Ripensare l’economia. Le sue regole e le pratiche. I suoi paradigmi, soprattutto quando diventano dogmi, elementi ideologici. Perché proprio in tempi di Grande Crisi, alla ricerca di “un’economia giusta” (secondo il monito di Papa Francesco, ma anche di autorevoli economisti), è indispensabile che attori sociali, studiosi, politici riflettano criticamente su “mercato”, “produttività”, “consumo”, “benessere”. Sull’idea stessa di “crescita”, guardando un po’ meno alla quantità e un po’ di più alla qualità. Aumentano, i buoni libri che aiutano a riflettere. Come “Ci prendono per fessi” ovvero “L’economia della manipolazione e dell’inganno”, Mondadori. Il titolo è provocatorio, brutale. Le firme degli autori, di grande prestigio: George A. Akerlof e Robert J. Shiller, entrambi premi Nobel per l’economia. In copertina, l’immagine di un’esca con gli ami, per pescare. E “phishing” è la parola chiave del titolo americano, la pratica del raggiro. Idilliaco, il mercato teorizzato da Adam Smith, conciliando interesse personale e benessere generale. La realtà è tutt’altro. Disseminata da “trappole ed esche cui finiamo per abboccare” perché “ogni volta che c’è un profitto da ricavare, i venditori non esitano a sfruttare le nostre debolezze psicologiche, la nostra superficialità, la nostra ignoranza per manipolarci e piazzarci la loro merce al prezzo più alto”. Regole da rivedere, dunque. Consapevolezza e conoscenza da rafforzare, tra i consumatori e i cittadini. Ma anche criteri economici da ridiscutere, per sottrarsi “al paradosso per cui in un’epoca come la nostra, in cui la produzione di ricchezza ha raggiunto livelli senza precedenti, tanti continuano a condurre una vita di miseria e di silenziosa disperazione”. Come? “Circular economy – Dallo spreco al valore”, sggeriscono Peter Lacy, Jacob Rutqvist e Beatrice Lamonica in un brillante saggio pubblicato da Egea.
Sempre più limitate, le risorse della Terra. Sempre più alti, i bisogni da soddisfare. E dunque vanno usate meno e meglio acqua, aria, territorio, va prodotta energia rinnovabile. Gli autori parlano di “modelli di business” per “la crescita circolare” e propongono idee e progetti “dal ridisegno delle filiere produttive a una diversa gestione degli scarti, dall’estensione del ciclo di vita dei prodotti alla sharing economy, dall’impiego di risorse sostenibili alla concezione del prodotto come servizio”. Equilibri di sviluppo, appunto. Con forte valore sociale. Non solo profitto, dunque. Come racconta Ina Praetorius, antropologa e teologa, in “L’economia è cura”, IOD Edizioni (a cura di Adriana Maestro, con acuta prefazione di Luisa Cavaliere): si va oltre l’idea che abbia valore economico solo ciò che è “produttivo” e oggetto di scambio, s’insiste sulle relazioni tra le persone che sono ben più che soggetti economici, si parla di “senso ampio di cura per il mondo” e “impegno per una trasformazione culturale”, si mette in primo piano il valore di “culture femminili” al di là della lettura riduttiva dello stesso Adam Smith come economista e non come filosofo morale. Economia “come soddisfazione del bisogno umano di preservare la vita e la qualità della vita”. Va proprio in questa direzione pure “Disuguaglianze – Quante sono, come combatterle” di Maurizio Franzini e Mario Pianta, Laterza: disparità di reddito, ricchezza, opportunità di lavoro e di migliore futuro. Le responsabilità stanno in “un capitalismo oligarchico”. Le chiavi di riforma, in una migliore cultura dello sviluppo e in una politica responsabile. Si torna alla “economia giusta”.