Milano, 21 settembre 2024 – Tauromachia, agilità e audacia. Strizza l’occhio alla celebre serie grafica sulla corrida di Francisco Goya la copertina di “Locura”, l’album che restituisce a Lazza il centro della scena rap dopo i trionfi del predecessore “Sirio” e i nove dischi di platino appesi al muro dalla power hit sanremese “Cenere” (“il pezzo che mi ha lanciato nello spazio”). Per il musicista milanese, al secolo Jacopo Lazzarini classe ‘94, un caleidoscopio di diciotto momenti muscoloso-sentimentali raccontati con la direzione artistica di Drillionaire e la complicità di uno stuolo di ospiti che va dalla Laura Pausini del singolo “Zeri in più (locura)” a Sfera Ebbasta, da Marracash a Guè, Artie 5ive, Ghali, Kid Yugi, oltre ad un numero uno dell’urban mondiale quale Lil Baby. Il tour nei palasport parte a gennaio con quattro repliche sold-out al Forum tra il 21 e il 25.
San Siro l’estate prossima? Lui non si sbottona, ma l’ipotesi è plausibile, anzi probabile. Intanto racconta questo nuovo progetto nel Locura Magazine, rivista reperibile da oggi nell’edicola di Corso Venezia e dalla prossima settimana in tutte le altre.
“La mia vita sta cambiando spingendomi a guardare il mondo con altri occhi”, ammette Lazza-Jacopo, che la modella e influencer Greta Orsingher sta per rendere padre. “All’inizio del lavoro su questo nuovo album ero confuso. Venivo da prove discografiche con numeri enormi e c’è voluto un po’ per tirarmi fuori da quel mood per provare a cercare altro”.
Una nuova visione del mondo che le gira attorno.
“Ho deciso che non mi terrò più niente dentro. A me non è mai piaciuto seguire le regole, mi è sempre piaciuto cercare di farle. Questo album è meno spaccone dei precedenti, con un po’ più Jacopo e e po’ meno Lazza, un po’ più persona e un po’ meno personaggio”.
Perché “Locura”?
“Anche se il senso è più o meno lo stesso, è un aggettivo che attribuito alla fama mi suona meglio di ‘follia’. Perché la popolarità è bella, ma ha anche le sue controindicazioni. Lo stress, l’incubo dei numeri, dei risultati da raggiungere, tanto per fare un esempio. E poi ci sono i social, utili per promuovere il nostro lavoro, ma che possono pure rivelarsi tossici. Ripeto sempre che, potendo vivere una giornata da anonimo, mi piacerebbe tanto andare in spiaggia”.
Suo figlio si chiamerà Noah.
“L’ho scelto perché è un nome particolare e poi Noah Okafor è pure un calciatore del Milan”.
Gli dedicherà una canzone?
“Non so ancora. Non posso mica scrivere per mio figlio un pezzo da TikTok, voglio comporgli un capolavoro, qualcosa di cui gli altri bambini possano essere invidiosi”.
Stavolta ha registrato il disco lontano da Milano.
“Dopo averne assimilato suoni e umori per trent’anni, ho pensato che questa città non avesse altro da darmi e sono volato oltre Oceano. Al momento dell’imbarco ho detto alla mia fidanzata che andavo in America a combinare niente e invece là i pezzi sono arrivati uno dopo l’altro. Il disco è nato tra New York, Los Angeles e Miami, dove incidere nello studio in cui Lil Wayne ha realizzato ‘The Carter III’ mi ha fatto sentire come un bambino in un negozio di caramelle. Ho registrato pure a Parigi, proprio il giorno in cui ho scoperto di aspettare un figlio”.
Che clima si respira oggi nelle cose della musica?
“Pure in Italia il mercato è bello saturo, ma fra tanta musica non mancano figure interessanti come, ad esempio, Low-Red”.
Come s’è trovato accanto ad un’icona pop come la Pausini?
“Molto bene. Da artista vera s’è messa in gioco accettando il rischio di andare fuori dagli schemi, dai primi segnali però sembra che il pezzo sia piaciuto pure al suo pubblico. Sono strageloso della nostra amicizia, perché Laura è una che non si concede a tutti. E poi fa parte della mia vita perché mamma me faceva ascoltare le sue canzoni a ripetizione da piccolo. Fra l’altro condividiamo un paio di passioni importanti come la musica e il Milan”.
A proposito di rossoneri, fede incorruttibile la sua.
“Una sera sono andato a cena con Ibrahimović e Travis Scott, ma, con tutto il rispetto per il mito del rap, a tavola avevo occhi e orecchie solo per lui. Pure mio figlio avrei voluto chiamarlo Zlatan e c’è voluta tutta la dolce determinazione di Greta per farmi cambiare idea”.