La conosciamo tutti. Senza saperlo. È lei ad esempio che tira le fila della puntata, mentre Bruno Barbieri pensa a qualche marachella in "4 Hotel" su Sky. Ed è sempre lei a sedurre con la sua voce nello spot per un orologio di lusso o una crema di bellezza. Insomma: Elena Andreoli è una delle doppiatrici più famose delle nostre giornate. Da poco è stata premiata con l’Anello d’oro come miglior voce femminile della tv, all’interno del festival "Voci nell’ombra". Riconoscimento prestigioso. Per questa milanese senza età, cresciuta a pane e teatro, da sempre a suo agio un po’ ovunque fra cinema, televisione, musica, pubblicità.
Elena, come si sente ad aver vinto il “pallone d’oro“ del doppiaggio?
"Onorata e stupita, di solito vincono le grandi voci del cinema. Infatti avevo al mio fianco professionisti stupendi come Rodolfo Bianchi, Chevalier, Roberto Pedicini. Aveva ragione mamma a credere tantissimo nella mia voce".
Lei invece ha creduto a lungo nel teatro.
"Sentivo il bisogno del corpo, della presenza. Mi sono formata all’Accademia dei Filodrammatici a Milano, percorso difficilissimo. Da lì la possibilità di lavorare con Dario Fo e Franca Rame".
Che esperienza fu?
"Due anni in tournée, avevo il ruolo da coprotagonista, dopo un provino con centinaia di colleghi. Per l’ultima selezione ci avevano portato in una casa a Ravenna, tre giorni a vivere con loro, volevano conoscerci dal punto di vista caratteriale. Fo preparava la pasta e ci offriva il gelato in paese, ma voleva scegliere i gusti".
E qual era il cono del Nobel?
"Limone e panna. Sembrava una specie di oca gigante con dietro i paperini. Ma capivi presto che non era un gioco, qualcuno sarebbe tornato a casa".
Non lei. E infatti ha lavorato a lungo sulle scene.
"Continuai a formarmi a Londra e a New York, reputo il metodo Stanislavskij il migliore per fare emergere una verità dalla voce. Proseguii con il teatro per una decina d’anni, fino a quando incontrai Carmelo Bene. Dovevo fare un lavoro con lui ma non era un capocomico per me accettabile".
Cosa successe?
"Dopo avermi scelta mi chiuse in una stanza, fu un trauma, dovetti scappare. E da quel momento ho per anni messo una pietra sopra al teatro. Oltre ad avere difficoltà a parlare dell’episodio".
Il doppiaggio?
"Mi iscrissi presto all’Adap, l’Associazione doppiatori attori pubblicitari. Pian piano arrivarono i lavori, fra Roma e Milano, dove però il settore è meno competitivo. Nel frattempo lavoravo come autrice per la Rai. La cosa curiosa è che non ho mai cercato nulla nello speakeraggio, sono state le produzioni a chiamarmi. E tuttora è così. Al contrario del teatro in cui ho sempre corso come una matta per fare qualsiasi provino".
Però è tornata sul palco.
"Sì, interpretando “Amen“ di Massimo Recalcati, il suo unico testo per la scena. Sono certa che lo riprenderemo. E mi accorgo di credere ancora molto nel teatro".
La pubblicità del cuore?
"La vicenda con la Swatch è stata molto buffa. Era quello spot anni ’90 con la canzone “Breathe“ di Midge Ure, pubblicità bellissima dove però l’unica cosa che dovevo dire era “Swatch!“ Nient’altro. Io pensavo fosse destinata ai canali commerciali italiani. Fu il fonico a farmi presente che invece era una campagna mondiale, dettaglio che cambiava tutto…"
Le sei lettere più pagate della storia.
"Ecco. Pensi in confronto alle 70mila lire lorde di quando lavoravo con Dario Fo".
Momento più bello?
"La proiezione al MoMA di New York del corto “Cinema forever“ da me scritto per raccontare un progetto di restauro di alcuni film italiani. Attraversi l’oceano e ti ritrovi nell’iperspazio".
Quando le viene un raffreddore ha una crisi isterica?
"È un problema, anche perché il corpo sembra fare apposta a ribellarsi nei momenti meno opportuni. Come prima dei due concerti che ho fatto come vocalist agli Arcimboldi, con il clarinettista Paolo Tomelleri. Due serate di jazz, la mia nuova passione".
Com’è lavorare nell’ombra?
"Oggi mi piace non passare per forza dall’immagine, dal corpo, ma far percepire che dietro c’è una testa, con sentimenti. E la voce è l’ultimo organo che invecchia, puoi interpretare una ragazzina a 90 anni. È uno strumento prezioso, fuori dal tempo".