
Mostra antologica sul poliedrico protagonista della controcultura degli anni ’70. Una carrellata di ritratti fantasiosi e ironici di musicisti, filosofi e scrittori.
di Diego Vincenti
MILANO
Il padre dell’underground. Un instancabile agit-prop. L’anello di congiunzione fra psichedelia e società contemporanea. Ma anche uomo mite, generoso. Appassionato di culture orientali. Sempre ironico, a partire da sé stesso. In qualche modo erede aggiornato di quel movimento hippy che a inizio anni 70 cercò addirittura di far arrivare in parlamento. Ma in realtà Matteo Guarnaccia fu prima di tutto un’artista della controcultura, profondamente immerso nella scena rock e antagonista, in grado di confrontarsi con qualsiasi linguaggio.
"Per me, la creatività è un dovere biologico - raccontava qualche tempo fa - Sono un curioso e per decenni mi sono occupato di portare a termine le mie curiosità attraverso la pittura, i disegni, i collage, la scrittura e le azioni. Ho disegnato e scritto tutto quello che mi ha attraversato. L’arte è luce e nutrimento. L’amore è la più alta forma di consapevolezza". Morto nel maggio 2022, ha lasciato un’assenza profonda in chi si muove in territori non allineati. Attitudine che da oggi viene omaggiata alla Galleria Antonio Colombo con “Santi e Briganti - Immagini e pensieri da una coscienza ispirata dall’amore“, ultimo progetto pensato e disegnato dall’artista milanese. Una serie di ritratti di filosofi, musicisti, poeti, scrittori, rivoluzionari e pensatori. Un centinaio di opere. Esposte fino al 9 novembre nel “Magic Bus“, sorta di zona dedicata, immaginifica, posta all’interno dello spazio di via Solferino. Bello ritrovare il tratto di Guarnaccia. Il suo spirito libero. Qui omaggiato anche da un nuovo volume pubblicato da ShaKe Edizioni.
Ma chi sono allora questi non allineati? Si va da Vivienne Westwood a John Cage, da Elvis a Jim Morrison. E poi una manciata di filosofi (fra cui Apuleio, Ipazia, David Thoreau), i movimenti artistici (Futuristi, Preraffaelliti); colleghi-icone come Vincent Van Gogh, Picasso, Marcel Duchamp, la spiritulità indomita di San Francesco e Buddha. Stratificazioni. Qui nel consueto tratto visionario e pulito, quasi illustrativo. Erede di tutto un percorso ibrido, dove l’orizzonte arcaico, di culti remoti, s’intreccia al segno anticonformista delle fanzine punk e ai rimandi complessi delle società comunitarie. Poi spegni un attimo il cervello, ti soffermi su un’opera e improvvisamente ti sembra il volantino di una festa al Cox o di un rave illegale, alla periferia di Londra. Una cosa così. Affascinante poi la predisposizione di Guarnaccia ad utilizzare qualsiasi tipo di medium e di strumento. Come se ci fosse una creatività sempre accesa, da sudare fuori, a prescindere dalla scelta di uno specifico linguaggio. Rincorrendo la visione interiore. E così chi proverà poi ad approfondirlo, scoprirà inchiostri di china e tempere acriliche, collage e stralci di scrittura, tele e tatuaggi, arazzi e murales. Senza contare il lavoro come body painter e performer. Innovazioni. Ma fuori da qualsiasi cornice istituzionale o accademica. Sarà per quello che manca così tanto.