ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Storia di un Deep Purple: Glenn Hughes, il ritorno

Domenica sera l’esibizione del cantante hard rock

Glenn Hughes

Milano, 18 febbraio 2017 - Anche se di acqua ne è passata sotto i ponti dalle fastose stagioni Deep Purple - quando il suo basso vibrava con la forza tellurica di “Burn” e “Stormbringer” - Glenn Hughes è ancora un riferimento dell’ “heavy”, come dimostrano il recente album solista “Resonate” e l’attesa che circonda il suo arrivo, domani sera, al Serraglio di Via Priorato. Realizzato con Soren Andersen nei panni di co-produttore e chitarrista, “Resonate” vede pure la presenza di Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers. In oltre 45 anni d’attività, infatti, il bassista dello Staffordshire (è nato a Cannock nel ’52) di amicizie importanti ne ha strette parecchie.

Era il 1973 quando la moneta sonante dei Purple, dopo l’uscita di Ian Gillan e Roger Glover, strappò Hughes ai Trapeze per dare vita alla Mark III, la formazione messa in piedi da Paice, Lord e Blackmore con Huges al basso e David Coverdale al microfono. Dotato di un canto molto efficace - non per niente è soprannominato The Voice of Rock - Glenn avrebbe potuto bastare alla band già da solo, ma, intenzionati a mantenere la formazione a cinque che tanto successo gli aveva riservato fino a quel momento, gli eroi di “Smoke on the water” decisero di ingaggiare comunque un frontman. Prima contattarono Paul Rodgers dei Free e, a seguito del suo rifiuto, scelsero lo sconosciuto Coverdale. L’effetto del doppio avvicendamento si fece sentire subito o quasi, spingendo il gruppo verso lidi poco frequentati fino a quel momento come il funky e il rhythm’n’blues.

Naufragata l’epopea Deep Purple sullo scoglio di un album incompreso quale “Come taste the band” e sulle difficoltà comportamentali di un eroinomane come il chitarrista Tommy Bolin, subentrato frattanto a Blackmore, la carriera di Hughes imboccò un lento e clamoroso declino segnato dalla droga, nonostante collaborazioni eccellenti con chitarristi del calibro di Pat Thrall e Tony Iommi dei Black Sabbath.

La rinascita agli inizi degli anni Novanta con una serie di album fortunati suoi (in diciotto anni solo con Chad Smith ha inciso cinque dischi) e altrui, a cominciare da quelli di Whitesnake, Lynch Mob, Mötley Crüe, Asia, Quet Riot. «Penso che “Resonate” sia un po’ il mio “Sgt. Pepper’ rock” - spiega a proposito dell’album, e dello show, che lo riporta in Italia - Questo album è un atto d’amore verso i fans miei e dell’hard rock”». L’ultima volta Hughes s’era presentato a Milano con il chitarrista Doug Aldrich, mentre stavolta invece si ripresenta con un paio di brani, “One last soul” e “Black country”, dei Black Country Communion, la superband di cui fa parte assieme al chitarrista Joe Bonamassa, all’ex tastierista dei Dream Theater Derek Sherinian e al batterista Jason Bonham, figlio dell’indimenticato “Bozo” dei Led Zeppelin. L’uscita del quarto album della band, infatti, è fissata per maggio.