"Sono stata sempre una donna indipendente, ho avuto un marito, anzi due...e con il secondo ho fatto viaggi avventurosi in luoghi lontani, spesso difficili da attraversare, Africa, Medio Oriente e Sud America, viaggiavamo su un fuoristrada trasformato in casa, dormivano anche sul tetto, in certe circostanze.
Esperienze che mi hanno lasciato un forte segno, che si è poi tradotto anche in pratica artistica". Gabriella Benedini ha 92 anni, milanese d’adozione, ha attraversato il XXI secolo con le sue opere pittoriche e scultoree, in una ricerca continua che ha saputo indagare il tempo, il viaggio il mito e la memoria. Ha realizzato oltre 2.300 manufatti fra sculture, carte, bozzetti e installazioni, che fanno parte del primo catalogo ragionato online che sarà presentato domani al Museo del Novecento, in un incontro con la curatrice Mariateresa Chirico, Luigi Cavadini, storico e critico dell’arte e Paolo Bolpagni, direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca. Sarà accessibile a tutti, gratuitamente.
Non sarà stato facile essere donna e artista negli anni Cinquanta. Lei ha frequentato l’Accademia di Brera saltuariamente fino a quando nell’autunno del 1957 parte per Parigi con una lettera di presentazione di un giovane Arturo Schwartz per Gallimard. Resta a Parigi, fino al 1960 si fa conoscere nel mondo dell’arte ma poi due anni dopo rientra a Milano. Che accade?
"Nessuno mi prendeva in considerazione, in quanto donna. Finchè non ho incontrato un personaggio straordinario, il pittore Bepi Romagnoni che quando è venuto in studio da me mi ha detto: “Ma tu sei brava!“. Come se fosse una sorpresa. Romagnoni mi presenta alla Galleria Bergamini, tengo la mia prima personale curata da Carlo Munari ed è in questi anni che espongo alla IX Quadriennale di Roma nel 1965. I nomi di artisti che giravano in quel periodo a Milano erano Valerio Adami, Tadini e Lucio Del Pezzo. Ho conosciuto Lucio Fontana ma era già una figura nota nel mondo dell’arte".
Lei è stata nel 1977 fondatrice del Gruppo Metamorfosi, e alla ricerca collettiva ha affiancato sempre anche un’indagine autonoma, sperimentando linguaggi visivi diversi.
"Eravamo tutte donne, c’era Lucia Pescador, Alessandra Bonelli e Lucia Sterlocchi. Volevo difendere una situazione tutta al femminile. Siamo state accolte con molta attenzione. Abbiamo fatto due mostre a Palazzo dei Diamanti a Ferrara e anche in Belgio, portate da Pescador. Possiamo dire che per circa dieci anni abbiamo ricevuto attenzioni, c’era sorpresa attorno a noi, in fondo abbiamo sempre visto fare gruppo fra maschi e mai fra donne artiste".
E oggi com’è la situazione?
"È molto meno utile essere guerreggianti. Un tempo dal punto di vista culturale non esistevamo come artiste, a parte alcune eccezioni di esponenti legate a gruppi maschili o perchè erano compagne di intellettuali. Ma donne sole che desideravano emergere come artisti non esistevano perciò abbiamo voluto dare un segnale, siamo esistite... Oggi le giovani artiste sono capaci di difendersi, il mondo è abbastanza aperto nei loro confronti. Il mondo dell’arte è purtroppo corrotto dal mercato, e di conseguenza i valori individuali, maschili e femminili, emergono con uguale difficoltà perché si confrontano con un sistema mercantile che non è solo italiano ma intercontinentale. Certo, ci sono anche grandi distanze poiché le donne hanno ancora molte interferenze di doveri, una sottrazione di energie, e questa storia non è finita"
Come trasmettere la memoria e l’arte alle generazioni future?
"Aprendo depositi e atelier alla visita di scolaresche come sto facendo io in questi giorni. Sono influenzati da un linguaggio molto diverso dal mio, io lavoro con le mani, faccio sculture, opere fisicamente costruite. Adesso i ragazzi purtroppo hanno perso il contatto vero con le cose, con la fisicità. L’arte figurativa sta diventando sempre più un’arte inconsistente perchè si usano altri mezzi. Io lavoro mettendo in relazioni le mani con la testa, le mani pensano".
Cosa la rende felice oggi?
"Non vivo di ricordi, però aver aver visto gente e culture diverse mi ha resa libera da schemi e condizionamenti. Ricordare la bellezza degli straccetti di stoffa che sventolano legati ad un arbusto in pieno deserto e sapere che erano una preghiera mi fa ancora viaggiare. Il fare arte è ancora l’incontro con l’imprevisto in un luogo dove le tracce e i segni sono riconoscibili solo attraverso la passione e riconoscendoli esistono".
Un progetto a cui tiene molto...
"Demetra, è un progetto artistico che fa un parallelismo fra il mito e la crisi climatica. Le immagini di questi giorni di una Valencia devastata impongono un cambio di marcia immediato. Il nostro stare nel tempo, essere nell’oggi sta diventando un “non luogo “dove potrebbe essere di aiuto risalire la spoletta della nostra cultura e svolgendola trovare le radici che ancora ci
accomunano".
Attorno alle donne c’è ancora troppa violenza, come uscirne?
"Resistendo. Purtroppo l’indipendenza delle donne fa ancora molta paura".