ANDREA MORLEO
Cultura e Spettacoli

Oscar 2024, la milanese Elettra Pizzi in corsa con Good Boy

Da Brera a un “corto” prodotto insieme alla grande Emma Thompson. “Tutto merito di zio Claudio, che da bambina mi portava al Plinius”

La produttrice Elettra Pizzi e la locandina del corto

La produttrice Elettra Pizzi e la locandina del corto

Secondo lo zodiaco cinese il 2024 si apre sotto il segno del drago, che nella tradizione è sinonimo di fortuna e cambiamenti. Elettra Pizzi ha però voluto esagerare. Con la sua 130 Elektra Films la produttrice milanese è inserita nella shortlist agli Oscar 2024 con Good Boy. Il 23 gennaio si saprà se il cortometraggio di 16’ diretto da Tom Stuart entrerà in nomination ma intanto alla squadra si è aggiunta come produttrice anche Emma Thompson, che due statuette le già vinte. Finito qui? Nemmeno per sogno perché a febbraio Elettra diventerà mamma per la prima volta.

A 33 anni non le vengono le vertigini con tutte queste emozioni?

"Sono piacevoli sensazioni. Sul fronte professionale arrivano però dopo 15 anni di carriera e anche tantissimi fallimenti: dai primi passi al liceo artistico di Brera, all’università sempre a Milano, quattro anni in Canada e ora l’Inghilterra".

Quando il cinema l’ha stregata?

"Tutto merito di zio Claudio, un ex professore di filosofia. Con i miei genitori abitavamo vicino al Plinius e lui mi ci portava sempre. La svolta con “Into the wild”: mi ha conquistato la sceneggiatura, la storia del protagonista che pur di uscire dalla società ed essere anticonformista, è disposto a mettere a rischio la sua vita stessa, fino poi alla morte. Eppure nonostante quella ricerca spasmodica, tutti quegli sforzi lui fallisce. Pensare che è poi una storia vera mi mette i brividi".

Anche Tom Stuart in Good Boy racconta una vicenda biografica. Un caso?

"Forse no. Non sapevo che si trattasse di una vicenda biografica ma la sceneggiatura era così vivida e colorata che mi ha dipinto lui e le emozioni che voleva trasmettere attraverso il protagonista".

Che gli succede nei 16’ di corto?

"Alla guida di uno sgangherato furgoncino con a bordo sua madre (Marion Bailey), un piccione morto e una crescente frustrazione questo giovane disperato (Ben Whishaw) cerca di rimettere in piedi la propria vita".

Nessuna “spoilerata” ma ci riuscirà?

"Diciamo che il finale è assurdo ma il messaggio che passa è che tutti noi siamo accomunati nella vita da momenti difficili come i lutti a cui non c’è una via d’uscita semplice: ci vuole tempo per rimarginare le ferite e ognuno ha le proprie modalità".

Perché ha scelto di vivere a Brighton?

"È una città balneare sulla Manica a sud di Londra. Qui ho trovato il mio equilibrio: sono a due passi dalla multiculturalità della city senza i suoi ritmi stressanti".

Cosa significa essere produttrice?

"Significa gestire un budget ma soprattutto tutti gli aspetti di un film. Il segreto è saper entrare in empatia con differenti persone e professionalità".

Che effetto fa concorrere insieme ad Almodovar e Anderson?

"La categoria cortometraggi é sempre stata per filmmaker emergenti mentre quest’anno in shortlist ci sono due grandi del cinema e molti con i grandi Studios alle spalle. Netflix e altre piattaforme da qualche anno hanno iniziato a proporre cortometraggi molto belli, sarebbe fantastico se fosse un trend che resti. Poiché i cortometraggi sono una forma di film a se’ stante, sarebbe bellissimo se ce ne fosse una vera commercializzazione".