Bises
Sono cresciuto nella noia estiva di Vallombrosa, meta di villeggiatura in prossimità di Firenze celebre all’inizio del Novecento per aristocratici di nascita e arrampicatori sociali in erba, e durante le interminabili giornate con i nonni in giardino l’attività prediletta non poteva che essere il gioco delle carte. La canasta in primis, ricordo ore e ore di mazzetti e pinelle, interrotte solo dall’irascibile cugino che a un passo dalla disfatta rovesciava tavoli e decideva che era giunto il momento di far altro. Da lì, per più di vent’anni, di carte non ho voluto saperne e quando amici e parenti impartivano regole su imbanditi tavoli verdi io mi defilavo silenzioso. Fino all’estate scorsa, complice una serata in Corsica ho allineato sinapsi e volontà imparando il tanto amato burraco. Ora non c’è viaggio o cena che non comporti almeno una partita a carte, trovo sia divertente e in molti casi è un diversivo che fa da collante tra persone che si conoscono poco. Lo confermano anche i ragazzi di Burraco Milano, desiderosi di creare un appuntamento accessibile che potesse alimentare i circoli Arci e le periferie, obiettivo raggiunto: 150 posti sold-out entro 20 minuti e una media di 30-35 anni a conferma che non è una passione per soli anziani. Più elitario ma a un passo dalla follia il Burraco Society istituito dall’artista Maurizio Cattelan e dal socializzatore seriale Paride Vitale, un torneo itinerante a spasso tra splendide location e stravaganti dress code in cui è possibile vincere scarpe bucate o magnum di ottimo vino a seconda di come decide di sterzare la fortuna quella sera. Tra gli ospiti non manca mai qualche sciura indiamantata, Paola Manfrin in veste di valletta, gli agguerriti Carlo Cracco e Rosa Fanti, l’esordiente Victoria Cabello e l’osservatore romano del bel mondo, Giuseppe Fantasia. Al mio debutto sono arrivato ottavo su ventotto, niente male se penso che fino a poco tempo fa avevo le carte in casa solo per una bella confezione del 1952 trovata in un mercatino.