
Il trio italo-giapponese (naturalizzato statunitense) torna a Milano sul palco del Magnolia. Per stupire
Tornano in concerto a Milano solo tre giorni dopo la pubblicazione dell’album “The shadow of the quest” quei Blonde Redhead che, in videocall dalla California, raccontano come questa nuova fatica discografica mantenga un piede nel passato e l’altro nel futuro. L’“ombra della ricerca” in cui il trio indie italo-giapponese naturalizzato statunitense si immerge il 30 giugno sul palco del Magnolia di Segrate, altro non è che una rivisitazione "sognante e leggermente inquietante" del precedente “Sit down for dinner”, pubblicato nel 2023 dopo nove anni di silenzio rotti solo nel 2017 dall’ep “3 O’Clock”. A parlarne è la cantante Kazu Makino, anima della band assieme ai gemelli milanesi Amedeo e Simone Pace.
Perché avete deciso di riprendere un disco così recente? "Dopo essere stata scritta, la musica passa attraverso il processo di registrazione e poi quello del live evolvendosi di continuo. Il disco ferma questo processo e la cosa non mi piace troppo: dovrebbe essere diritto di ogni artista poterla rielaborare all’infinito, o quasi. ‘Sit down for dinner’, ad esempio, avremmo voluto registrarlo coi cori, ma, in tempi di pandemia ci vedemmo costretti a rinunciare. Ci siamo riusciti ora".
Quali vostri album sono cambiati di più nel tempo? "Beh, ‘Barragán’ non fu apprezzato dalla critica come ‘23’ o ‘Misery is a butterfly’ e contiene almeno un paio di canzoni che vorrei rifare o quantomeno rimetterci mano".
Il pubblico dei Blonde Redhead è lo stesso ovunque o cambia a varie latitudini? "Quando mi esibisco chiudo gli occhi per quasi per tutto lo show. Il pubblico ci sostiene al punto da proiettarci in un’altra dimensione. E quando la folla è così appassionata, la musica diventa qualcosa di nuovo. Milano per Amedeo e Simone è casa, ci sono familiari, amici, emotività particolare. Meglio per me che non conosco nessuno".
Quanto ha impattato sei anni fa la sua prima esperienza solistica “Adult Baby” sui destini della band? "Ha cambiato tutto. Dimostrando che potevo fare musica anche da sola, mi ha dato molta più convinzione. Volevo sentirmi indipendente, così mi sono trasferita all’Isola d’Elba per ritrovare me stessa e capire se volessi proseguire la strada assieme ai miei compagni o no. Quando sono rientrata negli Usa e i gemelli mi hanno proposto di fare un album assieme ho accettato con animo nuovo".
Ora che progetti avete? "C’è tutta una serie di cose in ballo, fra cui alcune collaborazioni con organizzazioni umanitarie. Vorremmo pure fare un concerto con un coro. E io vorrei regalarmi un altro disco solista. Superati i trent’anni di attività, stiamo pensando pure ad un documentario sulla band".