ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Baustelle a Villa Arconati, Francesco Bianconi: "Milano è come una donna che ti seduce"

La band toscana in concerto con una nuova scaletta

Baustelle

Bollate (Milano), 20 luglio 2018 - D'estate i palcoscenici sono tutti uguali o qualcuno è più uguale degli altri? Domanda forse legittima per una band come i Baustelle, impegnata in un giro di concerti che tocca alcune delle più significative cornici estive della musica italiana. Venerdì 20 luglio, ad esempio, la band toscana torna a Villa Arconati, per uno degli appuntamenti clou del cartellone di quest’anno. "Il luogo influenza sempre - assicura Francesco Bianconi -. Venerdì scorso abbiamo suonato sul sagrato della chiesa di Verrucchio in una situazione intima, familiare, e tre giorni dopo nella monumentale cornice di Piazza Santissima Annunziata a Firenze, circondati da una sacralità che sull’appennino romagnolo mancava del tutto. Dovendo trovare una collocazione ad uno spazio come quello di Villa Arconati, direi che, se si vuole, rappresenta una commistione fra le due situazioni".

Soddisfatto della risposta del pubblico ai due tomi de “L’amore e la violenza”?

"Sì, perché il pubblico s’è appassionato a questi brani complessi travestiti da canzoni facili; mi sono reso conto che pure in un’epoca come questa, in cui sembra andare molto di moda l’essere diretti, il dire le cose senza troppi livelli interpretativi, la gente è disposta ad apprezzare pure cose che richiedono un piccolo sforzo interpretativo".

E a lei la cosa piace?

"Pure nella musica leggera prediligo le canzoni che hanno bisogno di una certa decodifica, anche perché mi sono reso conto che resistono meglio al tempo".

Può fare un esempio?

"Battiato è il più lampante. Ma la storia è piena di esempi simili; basta pensare alla svolta ‘elettrica’ di Dylan, quando sembrava inconcepibile che l’hobo di “The Freewheelin’ Bob Dylan” si trasformasse nel rocker di “Bringing it all back home”. Devi sempre sfidare il pubblico con qualcosa di nuovo, se no non ha senso fare questo mestiere. Anche se, col pensiero a Dylan, penso che il nostro festival di Newport, l’evento che nella carriera di un artista arriva a scompaginare il gioco, debba ancora venire. Magari col prossimo disco».

Questo significa che i due volumi de “L’amore e la violenza” hanno esaurito il loro ciclo.

"Secondo me sì. Sono una persona che si annoia molto facilmente e penso che due tomi abbiano sviluppato il discorso a sufficienza".

Quali sono le novità più significative di questo nuovo giro di concerti?

"La scaletta è variata rispetto a quella dei concerti locali; oggi è molto meno attenta a rispettare la promozione del disco “L’amore e la violenza volume 2”. Recuperiamo, dopo quasi vent’anni un pezzo come “Beethoven o Chopin?” che, per forza di cose, diventa più emozionante di tante cose suonate e risuonate dell’ultimo disco. I concerti, d’altronde, sono belli anche per come armonizzi il vecchio col nuovo e per come riesci a reinnamorarti di brani scritti magari tempo fa. Sperando, ovviamente, che il pubblico ti segua".

A proposito, “Un romantico a Milano” l’avete pubblicata tredici anni fa. Com’è cambiato nel frattempo il vostro rapporto con la città?

"Quando arrivai ero molto prevenuto, dicevo che questa non era casa mia, che non era la mia vita e che non ci volevo rimanere. Oggi, invece, non solo ho fatto pace con Milano, ma ne sono perdutamente innamorato; un po’ come accade con una donna con cui non è scoccato il classico colpo di fulmine, ma ha saputo conquistarti giorno dopo giorno".