
L’attrice Alessandra Faiella in scena da stasera
Milano, 26 ottobre 2016- Come fosse uno scrigno. Pronto a contenere le cose più preziose: emozioni, ricordi, intuizioni, dubbi. Insomma, “Il cielo in una pancia” che rende bene l’idea della centralità di un (non) luogo dove tutto pare accadere. Almeno così racconta Francesca Sangalli in questa prima nazionale prodotta dal Festival delle Lettere e diretta da Andrea Lisco. Da stasera al Teatro Verdi, un monologo con Alessandra Faiella.
Faiella, la sua protagonista pare piuttosto incline all’istinto.
«Sì, decisamente. Consideri che lo spettacolo doveva intitolarsi “Una donna parasimpatica”, facendo riferimento al sistema involontario, senza filtri, che scatena situazioni allegre e piene di gaffe per la protagonista. Ma con la maternità questa donna riuscirà a creare un dialogo fra la testa e la pancia. D’altronde come madre hai bisogno di non essere in balia dell’emotività. Se no come fai a reggere Bambi o Nemo, che perde la mamma e qualche migliaio di fratelli nella prima scena del film?».
Una carneficina.
«Già, mica facile. Ma oltre che divertente il suo percorso è anche tenero, poetico».
In che senso?
«Francesca Sangalli è riuscita molto bene a passare dalle atmosfere inizialmente grottesche, quasi clownesche, ai toni più rarefatti e poetici del finale. Quando attraverso il rapporto con il figlio, si riscopre come un valore la spontaneità del pensiero, tipica dei bambini».
Prima accennava alle gaffe della protagonista.
«Ad esempio quando da ragazzina ripete in continuazione le parole che la madre le ha vietato di dire. Tipo: pisello. Che letteralmente pronuncia ogni due parole. Poi ovviamente si innamora, del più bruttino e sfigato, mentre le sue amiche razionali scelgono il più bello, il più ribelle, il più ricco».
Lei Faiella è invece più razionale o istintiva?
«Ho fatto un percorso inverso alla protagonista. Nell’adolescenza e da giovane adulta mi sono affidata alla testa. Col tempo ho recuperato gli aspetti affettivi».
In questo c’è forse un legame con la necessità di dover emergere?
«Credo di sì. Nella prima parte ho dovuto essere più determinata, “incattivita”. La comicità stessa è di testa, la risata presuppone un distacco emotivo. Solo dopo hanno cominciato a chiedermi di toccare le corde più emozionali. E mi è servito...».