Sla, il caso Anastasi è solo l'ultimo: le ricerche non sciolgono i dubbi

Dato choc: incidenza doppia fra i giocatori rispetto alla popolazione comune

 Pietro Anastasi era malato di Sla (Alive)

Pietro Anastasi era malato di Sla (Alive)

Milano, 20 gennaio 2020 -  All’inizio è solo un fastidioso formicolio. Poi ti annienta, ingabbiando le forze giorno dopo giorno. La “stronza“ non perdona. La “stronza“ continua ad uccidere, soprattutto ex calciatori. L’ultimo nome illustre, vittima dalla Sla (malattia degenerativa che attacca il sistema nervoso), è stato quella di Pietro Anastasi. Meno di due mesi fa era toccato allo stopper Giovanni Bertini (ex Roma e Fiorentina) e prima ancora a Marco Sguaitzer, simbolo del calcio mantovano, scomparso a 60 anni nel marzo del 2019.

Dal 1941 a ogg i sono 41 i morti a causa della “sclerosi laterale amiotrofica“ (33 dagli anni ’60): fra le vite stroncate dal male anche quelle di Gianluca Signorini (2002) e Stefano Borgonovo (2013). Tutti volati via tra atroci sofferenze, perché la Sla è così: ti prende, ti distrugge lentamente tutti i muscoli, ti divora i motoneuroni, ti finisce soffocandoti. Nel vero senso della parola, quando la tracheotomia è l’unico modo per provare a sopravvivere. Una sofferenza indescrivibile, anche perché la Sla ti lascia comunque vigile, lucido, cosciente. In modo subdolo e beffardo. Ma la domanda (che finora non ha trovato risposta, nè da parte dei medici nè sul fronte delle inchieste giudiziarie) è sempre la stessa: può l’aver giocato a calcio pesato sulla diffusione della malattia? Che esista una correlazione fra i due dati di fatto è praticamente accertato. Il rischio, infatti, risulterebbe aumentato fino al doppio e i calciatori (soprattutto ex, perché fra gli atleti la SLA insorge a 43 anni, rispetto i 63 che si registrano come età media della diagnosi nella popolazione) potrebbero ammalarsi in anticipo sulla norma.

Dai dati di recenti indagini dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di MIlano e fatte su 25.000 profili di ex calciatori in attività fra il 1959 e il 2000, si evince infatti che se l’incidenza media della malattia è di 1,7 casi ogni centomila abitanti, tra i calciatori italiani arriverebbe fino a 3,2 (sempre su un campione di centomila unità). Tutti numeri shock che inducono a riflettere, anche perché rispetto a qualche anno fa, oggi la Sla sembra ancora più aggressiva: se prima la sopravvivenza media era di 10-15 anni (in qualche caso si è arrivati a 18) adesso si è scesi fra i 3 e i 5 anni.

Quindi non solo i calciatori convivono con un rischio più alto di ammalarsi, il vero problema è l’assenza di cure efficaci. Anche perché le cause vere e proprie della malattia pare impossibile determinarle. Per ora solo ipotesi che vanno da ripetuti eventi traumatici (in particolar modo i colpi di testa) all’esercizio fisico intenso, fino all’uso (e abuso) di sostanze farmacologiche (quali micoren, cortex e antinfiammatori vari) e addirittura i diserbanti e i pesticidi usati nel trattamento dell’erba del campo. Insomma, ci si trova di fronte ad una malattia multifattoriale con una componente di cause genetiche e una ambientale. L’unica certezza è che la Sla, ad oggi, è incurabile. E fa sempre più paura.