Milano, 10 novembre 2023 – “La prima volta in cui ho messo piede in un campo profughi è stata un’esperienza fortissima. Trovarsi di fronte a donne e bambini che vivevano al di sotto della soglia di povertà mi ha segnato e mi sono chiesta come riuscire a dare loro un aiuto concreto”. Così Roberta Ventura, manager laureata alla Bocconi con l’innata passione per le genti e la cultura mediorientale, racconta come è nata Sep, Social Enterprise Project, impresa sociale di moda, fondata nel campo per rifugiati di Jerash in Giordania, allestito dopo il conflitto della Striscia di Gaza del 1967. Non un’operazione per sfruttare la manodopera a basso costo, ma per valorizzare l’arte del ricamo che queste donne si tramandano generazione dopo generazione combinandola con lo stile italiano. Un brand raffinato che sta ottenendo uno straordinario successo e soprattutto ha ridonato il sorriso laddove la povertà stava rischiando di cancellare ogni speranza. E proprio per farlo conoscere, portare a casa un pezzo di questa storia e riflettere sul tema del riuso e del ricilo dei vestiti, oggi e domani, è stato organizzato un evento aperto a tutti nella boutique di via dell’Unione a Milano.
Come nasce questa storia?
“Sono piemontese, ma fin da bambina nutro una particolare passione per il Medio Oriente: dalla cultura alla storia fino ai diritti umani e alla causa dei rifugiati. Pensi che quando studiavo Economia aziendale alla Bocconi, il secondo anno, è stato inserito l’esame di arabo. Sono stata la prima a iscrivermi e ho aggiunto l’esame al curriculum solo perché volevo imparare la lingua".
E poi il lavoro in Libano
“Sempre all’università ho avuto la fortuna di incontrare un professore che lavorava in pubblica amministrazione e che aveva conoscenze in Libano. Ha accettato di farmi da relatore per la mia tesi di laurea (sulla ricostruzione del Libano dopo la guerra civile, ndr) e poi sono riuscita ad ottenere, nel 1997, uno stage alla Reuters proprio in quel paese mediorientale”.
L’occasione per la sua prima visita a un campo profughi
"Era il desiderio più grande che avevo e, grazie a un collega, si è realizzato. Con lui sono stata a Ayn al-Hilwe, a sud del Libano. Ero sicura che avrei trovato persone, tra cui moltissimi bambini, a vivere in condizioni disumane. Ma vederlo con i propri occhi è stata un’esperienza fortissima”.
Poi il campo 'Gaza' di Jearsh
“Al campo ‘Gaza’ di Jerash, a nord della Giordania sono stata nel 2013. In quel periodo lavoravo in ambito finanziario e la fondatrice di una Ong venne a chiedermi una donazione per studiare quel campo e per lanciare un doposcuola. Ho accettato a patto di diventare la project manager della ricerca. Sul posto ho incontrato tante persone: erano stanche degli aiuti umanitari, volevano lavorare”.
Un cambio di programma
“Tornata a casa, mi sono confrontata con mio marito, economista e molto più razionale di me. Abbiamo studiato se e come si poteva lavorare in quella realtà e se c’era un mercato che potesse valorizzare le loro tradizioni, usi o costumi”.
E avete pensato subito al ricamo
“Conoscevo bene il settore del lusso, conoscevo altrettanto le meraviglie del ricamo tradizionale libanese, conoscevo infine l’anello debole dell’emancipazione: le donne. Così ho cominciato a immaginare di monetizzare il loro talento e, soprattutto, di retribuirlo”.
Così nasce Sep, Social enterprise project “Inizialmente ci siamo chiamati ‘project’ perché era appunto un progetto, non sapevamo se poi saremmo stati veramente in grado di trasformarlo in qualcosa di più”.
Ma ci siete riusciti
“Nel 2013 abbiamo avuto l’idea, nel 2014 siamo partiti con 20 ricamatrici. Ne abbiamo formate mille, ma oggi sono più di cinquecento le persone che collaborano con noi. Per due anni è stato un progetto a latere del mio lavoro, poi nel 2016 ho dato le dimissioni e oggi mi dedico anima e corpo allo sviluppo del brand”.
Una decisione importante “Dopo tre anni c’erano segnali positivi. Così, ho pensato che era arrivato il momento di buttarmi totalmente in questa avventura, altrimenti sarebbe rimasta solo un progetto. Invece, volevo davvero aiutare queste donne. Dovevamo crescere e aumentare i volumi di vendita”
C’è anche un’Accademia del ricamo
“Sì, un Accademia per insegnare o riapprendere una tecnica che risale all’Ottocento. Si tratta di cambiare il filo senza fare nodi e senza fili che cadono nella parte posteriore del ricamo, che deve essere bella e pulita tanto quanto quella davanti".
Un ricamo bello e funzionale
“Caratteristiche non sono solo estetiche, ma hanno anche una loro funzionalità, ad esempio quella di non far sciupare i capi durante il lavaggio. Ricamare così è molto più difficile, richiede tempo e precisione. Il valore aggiunto però è che un che un pezzo fatto con questa tecnica rimarrà invariato per centinaia di anni”.
E poi si inizia a lavorare
“Per me era importante un lavoro legato alla loro cultura. E che si potesse svolgere in modo flessibile, anche da casa, perché la maggior parte delle donne ha dai 5 ai 10 figli”.
I pagamenti?
“Il costo di un prodotto varia in base ai rotoli di filo utilizzati per il ricamo, dipende quindi tutto dalla dimensione e dall’intensità C’è comunque una lista prezzi: tutto è stato razionalizzato secondo procedure precise, non ci sono negoziazioni ad personam e le lavoratrici sono incentivate a dare il massimo, perché si sentono valorizzate sia per chi sono, sia per ciò che fanno”.
Ogni quanto vengono pagate?
“Ogni lunedì, dopo il controllo qualità. Noi paghiamo queste donne con un sistema di wallet digitale e questo ha consentito anche un importante percorso di educazione finanziaria.”
Patrimonio palestinese, ma materiali italiani…
“Abbiamo scelto di fondere quelli che sono i loro motivi tradizionali con un gusto italiano e soprattutto con materiali italiani, come il lino e il cashmere. Sono due mondi separati, che corrono paralleli: noi vogliamo essere l'occasione dell'incontro. E, alla luce degli ultimi eventi di cronaca, oggi diventa ancora più importante”.
A proposito, com’è la situazione oggi con la guerra Israele-Hamas?
“La maggior parte delle persone del campo profughi viene da Gaza e, quindi, ha parenti che vivono ancora lì. Ogni giorno arrivano notizie terribili, ma è incredibile la resilienza di queste donne. C’è molto da imparare da loro, non solo il cucito”.
Sep è ormai un brand riconosciuto
“Nel momento in cui si fa formazione e le donne lavorano a un livello altissimo, è fondamentale creare un brand che abbia un posizionamento nel mercato. Non solo, in questo brand le lavoratrici si riconoscono e ritrovano la loro dignità e identità”.
E che ha ottenuto la B Corp
“Esatto, per oltre un anno sono state effettuate delle audit molto approfondite durante le quali sono state valutate le condizioni delle lavoratrici. Alla fine abbiamo ottenuto il riconoscimento che certifica che questa azienda mette gli esseri umani, il pianeta e i profitti allo stesso livello nelle sue priorità aziendali”.
Che tipo di prodotti create?
“Sono nati degli accessori che non hanno età, non hanno tempo e non hanno gender e che possono essere indossati anche con outfit eleganti, ma soprattutto sono accessori tutti ricamati a mano. Ad oggi facciamo ben 280 prodotti diversi: Siamo partiti dalle borse canvas shopping fino ad arrivare alle espadrillas, ai cuscini e alle coperte".
La kefiah?
“La kefiah è il prodotto distintivo della Giordania. Ma non vuole essere un capo con uno statement politico, bensì un prodotto fashion di moda impegnata. Sull’etichetta c’è il nome di chi ha ha fatto il ricamo e questo crea un collegamento personale e umano tra chi ha lavorato e chi indossa il capo”.
Novità in arrivo?
"Il lancio a fine novembre di ”Isabella Caposano by SEP”, una capsule esclusiva composta da 5 creazioni prêt-à-couture ricamate a mano. Tagli sartoriali, proporzioni che si adattano elegantemente al corpo, colori classici a cui si aggiunge, grazie ai ricami, una nota di rosso, blu e fucsia: il sunto di una collaborazione nata dalla volontà dei due brand di uscire dal tracciato e di trovare un punto d’incontro. Una capsule che unisce eleganza, sartoria e valori etici”.
Dove è possibile fare acquisti?
“Abbiamo sei boutique: una in via dell’Unione 7 a Milano, una a Berlino, due a Ginevra e due ad Hamman. Ma ci trovate anche on line, dove abbiamo tre siti internet”.
E proprio a Milano ci sarà l’evento di oggi e domani
“Sep desidera far riflettere su un tema urgente: quello del riuso e del riciclo dei vestiti. Così, invita tutte le persone che vogliono dare un tocco nuovo ai propri abiti e accessori a passare nel negozio di via dell’Unione 7. Ad attenderli saranno gli studenti dell’Accademia del Lusso (stylist e sarti), che cuciranno sui loro capi le patch realizzate per l’occasione dalle ricamatrici di Sep in un processo di upcycling creativo. Il prezzo al pubblico per la finalizzazione di ogni capo (singola patch, styling e cucitura) è di 50 euro. Dal secondo capo in poi 30 euro. L’evento è su prenotazione. E così ci si porta a casa un pezzo unico, ma anche un pezzo di storia”.