Neonati abbandonati, tra Ruote degli esposti e Colombitt: i trovatelli si salvavano così

In Italia ogni anno vengono abbandonati circa 3.000 infanti, le "Culle per la vita" sorte negli ospedali hanno raccolto un'eredità lunga di secoli

Un'immagine d'epoca delle balie con alcuni neonati abbandonati

Un'immagine d'epoca delle balie con alcuni neonati abbandonati

Milano - La neonata abbandonata in una scatola davanti all'ospedale di Monza ripropone drammaticamente un fenomeno, quello dei bambini non riconosciuti dai genitori, in crescita negli ultimi anni. In Lombardia, nel 2020 erano infatti 55 i piccoli abbandonati in ospedale, ma l'anno prima erano 41, e nel 2018 invece 40.

Ogni anno in Italia vengono abbandonati alla nascita circa 3mila bambini e di questi solo 400 riescono a essere salvati perché affidati alle strutture loro dedicate negli ospedali. La legge italiana prevede il diritto per le donne di partorire in anonimato, di essere assistite in ospedale e di non essere perseguite se decidono di non riconoscere il figlio. Per questo in molti ospedali sono stati creati reparti ad hoc che hanno raccolto l'eredità delle "Ruote degli esposti", le particolari strutture nate nel XII secolo che permettevano di abbandonare il piccolo indesiderato garantendo l'anonimato della madre e le cure per il neonato.

Dopo aver funzionato per secoli, salvando la vita a centinaia di migliaia di bambini, le "Ruote degli esposti" vennero progressivamente smantellate a partire dalla metà dell'800 per poi essere definitivamente abolite da Mussolini nel 1923, anche perché il loro utilizzo era in continua e incontrollata crescita. 

A Milano esisteva fin dal 1780, sorta per volere dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, la Pia Casa degli Esposti e delle Partorienti, istituita presso l'antico convento di Santa Caterina alla Ruota. Il nome in dialetto di "colombitt", riferito ai bambini abbandonati, era dovuto proprio alla colomba presente nell’insegna di Santa Caterina. In questo convento sui Navigli, tra il 1845 e il 1864, vennero abbandonati 85.267 bambini, con una media di 4.263 trovatelli all'anno.

Appena possibile, i piccoli venivano mandati nelle campagne intorno a Milano o Varese (la diffusione del cognome Colombo dipende anche da questo) e dati in custodia alle famiglie affidatarie, che ricevevano un salario per allevarli fino al secondo anno di vita e che poi li utilizzavano nei lavori agricoli. I legittimi genitori potevano poi riprendersi i figli anche dopo molti anni: ci furono casi di bambini tornati alla madre biologica addirittura a 11 anni. Per "ricongiungersi" ai figli, la madre solitamente lasciava, insieme al piccolo fagottino piangente davanti al monastero, un biglietto, una medaglietta o un'immagine strappata, della quale conservava gelosamente anche per anni la parte mancante. 

Il sovraffollamento di queste strutture, che rendeva precarie le condizioni igieniche al suo interno, aumentando la mortalità dei bimbi ospitati, e i crescenti costi connessi al loro mantenimento per le casse pubbliche indussero le amministrazioni a smantellarle. La Pia Casa degli Esposti di Milano venne definitivamente chiusa nel 1868. 

L'emergenza dei neonati abbandonati non è mai cessata, ma la necessità di assistenza, sicura e gratuita, ha ripreso forma istituzionale tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000. Così in Italia, su iniziativa spesso di associazioni private, sono sorti negli ospedali reparti che prendono in custodia i "trovatelli", in attesa di trovare famiglie disposte ad adottarli.

In Lombardia, le Culle per vita sono presenti all'ospedale Mangiagalli di Milano, all'ospedale Civile di Brescia, all'ospedale Maggiore di Cremonaquello di Vizzolo Predabissi, all'ospedale Del Ponte di Varese, ma anche presso alcune associazioni private o religiose come il Centro Aiuto di Abbiategrasso, il Monastero Domenicano Matris Domini di Bergamo, l'Istituto Suore del Buon Pastore di Crema, l'Aibi (Associazione Amici dei Bambini) di San Giuliano Milanese e il Centro di aiuto alla vita di Vigevano.