Strage del Mottarone: al microscopio 114 fili, spiegheranno 14 morti

Formavano il cavo traente della cabina 3 della funivia precipitata il 23 maggio scorso. I periti del tribunale dovranno stabilire se hanno ceduto per strappo, erosione o sforzo

Tecnici sui resti della cabina

Tecnici sui resti della cabina

Milano - ​I 114 fili del cavo traente sono stati liberati dalla lega di piombo che li avvolgeva. In questi giorni vengono passati uno per uno sotto il microscopio elettronico a scansione nel laboratorio del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Trento, con l’obiettivo di capire perché si sono spezzati a mezzogiorno dello scorso 23 maggio, quando la cabina numero tre della funivia Stresa-Mottarone è precipitata provocando la morte di 14 persone uscite di casa per una tranquilla gita domenicale. L’unico sopravvissuto, il piccolo Eitan, è finito al centro di una contesa familiare fra Italia e Israele e ora è seguito da un tutore.

Si tratta di uno dei passaggi fondamentali nell’ambito della perizia disposta dal Tribunale di Verbania, con la formula dell’incidente probatorio, per fare luce sulle cause della tragedia. La squadra di ingegneri e tecnici guidati dal professor Antonio De Luca – affiancati dai consulenti nominati dai legali degli indagati e delle famiglie delle vittime – ha tempo fino a fine giugno, quando sarà trascorso un anno dall’incidente, per depositare i risultati delle analisi davanti al gip Annalisa Palomba. A occhio nudo quei fili interni sono apparsi deteriorati e arrugginiti, ma la ruggine potrebbe essersi formata nei mesi successivi all’incidente quando la testa fusa, il cilindro che salda la fune al carrello, è rimasta esposta alle intemperie. L’obiettivo delle analisi è quello di capire le ragioni per cui la testa fusa si è rotta. Per questo i tecnici, dopo averla aperta, hanno iniziato a osservare gli spezzoni dei fili metallici, analizzando la superficie di frattura e confrontandoli anche con la testa fusa integra della cabina numero 4, rimasta al proprio posto durante l’incidente. Fili ceduti per strappo, erosione o sforzo.

Nei mesi scorsi sono stati effettuati decine di sopralluoghi e riunioni, accertamenti ad ampio raggio sullo stato dell’impianto, sugli interventi di manutenzione e sulla "scatola nera", fondamentali per definire le responsabilità dell’incidente. Una strage che si sarebbe potuta evitare. Come è emerso subito dopo lo schianto, i freni d’emergenza della cabina erano stati disinseriti per evitare di bloccare l’impianto quando erano emerse le prime anomalie. Sono 14 gli indagati, fra persone e società, nell’inchiesta aperta dal procuratore Olimpia Bossi che ieri il plenum del Csm ha confermato alla guida della Procura di Verbania fino al 2024. Una conferma arrivata con una delibera che la dipinge come "dirigente di sicura competenza e in possesso di doti organizzative che le hanno consentito di assicurare funzionalità ed efficienza all’ufficio". Intanto il capo servizio della funivia Gabriele Tadini, indagato, è andato in pensione. "È molto provato per l’accaduto – spiega il suo difensore, l’avvocato Marcello Perillo – e spera che sia fatta la massima chiarezza". Attendono gli esiti degli accertamenti anche il responsabile di servizio della società, Enrico Perocchio, e l’imprenditore Luigi Nerini, patron delle Ferrovie del Mottarone, gestore dello storico impianto che collega il lago Maggiore alla cima del monte, dal panorama mozzafiato. Entrambi indagati, furono arrestati dopo l’incidente e poi rimessi in libertà.