
Gianfranco e Raphael con la loro fiammante Subaru Justy pronta per il Mongol Rally 2015
Prendete due svizzeri con una voglia matta di avventura, date loro una macchina scassata da rimettere in sesto e aggiungete il rally più pazzo del mondo. Et voilà, ecco il Team Khan-Fly, ovvero, Gianfranco Dalia e Raphael Stocker, due appassionati di aviazione pronti stavolta a “volare” sulla loro quattro ruote (non tutte motrici beninteso) da Locarno alla Mongolia. E' il Mongol Rally, 16mila chilometri in territori sconosciuti per misurarsi con se stessi e anche per dare una mano alla foresta amazzonica, che non guasta mai: il ricavato del Mongol Rally da anni va infatti a finanziare i progetti di Cool Earth e di altre organizzazioni e associazioni scelte dagli equipaggi.
Non è proprio una gara, non ci sono vincitori. Qui vincono i più pazzi, quelli che riescono a inventarsi le soluzioni più ingegnose per risolvere i problemi che inevitabilmente capitano in un’impresa del genere.
L’appuntamento è dal 19 luglio fino al 30 agosto per la supermaratona stradale (si fa per dire, si corre su strade sterrate e ghiaia) che prende il via da Londra e termina ad Ulan Ude (Siberia) passando dalla Mongolia. Uniche regole: la cilindrata dell’auto deve essere 1000, al massimo un 1200 cc, non si devono usare navigatori satellitari e non si deve avere alcun supporto tecnico. Bè , se non è avventura questa….Sedicimila chilometri, mezzo giro del mondo così, affrontando tre deserti e cinque catene montuose e incognite di ogni genere, altro che suv e gps touch. E’ come i vecchi raid di una volta, basti pensare alla Pechino Parigi del 1909, che l’inviato Luigi Barzini raccontò sul Corriere. Gianfranco, che nella vita fa il vicedirettore della Torre di Controllo di Locarno, e Raffaello, quality manager di una compagnia aerea svizzera, la affronteranno con una Subaru Justy vecchia di 20 anni, e rigorosamente 1200 cc, addobbata come una follow me car, le auto che guidano gli aerei al parcheggio negli aeroporti.
Il Mongol Rally è stato definito la più grande avventura del mondo. E ogni anno dal 2004, da quando è stato lanciato, vede partecipare dai 150 ai 300 equipaggi, che si impegnano prima di partire a una raccolta di fondi: infatti, oltre alla limitazione su cilindrata e strumentazione di bordo, esiste un altro obbligo per chi vuole cimentarsi nella prova; raccogliere almeno mille euro da dare in beneficenza.
Non c’è alcun percorso obbligatorio, si può passare dalla via del Nord o da quella del Sud, come faranno i due svizzeri, passando da Istanbul e poi dai tanti stati che finiscono in “stan” lungo il cammino, attraversando un passo alto 4700 metri e dieci posti di frontiera che non sono tra i più tranquilli del mondo: basta dare un’occhiata all’elenco dei visti che il Team ha dovuto procurarsi: (Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Kazkhstan e Russia)
Per affrontare la grande sfida dovranno fare affidamento esclusivamente su loro stessi, sulle loro capacità di superare gli imprevisti, sulla loro esperienza meccanica (quella di Gianfranco prima dell’avventura era limitata al rabbocco dell’olio e al cambio del liquido lavavetri…). Naturalmente si stanno cercando anche sponsor e donatori, oltre a quelli che hanno già aderito al progetto, e tutto ciò che verrà raccolto, oltre che a Cool Earth, sarà devoluto a Bayasgalant, un'organizzazione svizzera che aiuta proprio i bambini della Mongolia. Il Mongol Rally d’altra parte funziona anche come formidabile macchina da “charity” se è vero che ad oggi i partecipanti hanno donato in beneficenza la bellezza di 1,6 milioni di sterline. Numeri impressionanti, come quelli complessivi delle varie edizioni del Rally: percorsi equivalenti a 177 volte la circumnavigazione del globo, 23320 visti richiesti, media globale di circa 40 chilometri l’ora e 9 guasti per team durante questi 16mila chilometri di pura adrenalina. In bocca all’Eurasia. (R.B)