Milano, operai sui binari con la benedizione delle cosche

Quindici arresti dell ’Antimafia: ditte in odor di ’ndrangheta “affittavano“ personale ai grandi appaltatori dei lavori per Rfi

Operai sui binari (foto archivio)

Operai sui binari (foto archivio)

Milano -  Operai sui binari con la benedizione della ’ndrangheta. Stando a un’indagine dell’antimafia milanese scattata ieri con 15 arresti e sequestri per 6,5 milioni di beni mobili ed immobili, una cosca calabrese avrebbe messo le mani sulla manutenzione della rete ferroviaria "uno dei settori strategici del Paese". Le gare d’appalto indette da Rfi, la società pubblica che se ne occupa, venivano vinte regolarmente da grandi e insospettabili aziende che poi, però, utilizzavano per i subappalti personale distaccato da altre ditte in odore di ’ndrangheta. E queste ultime, fra l’altro, non spedivano sui binari operai specializzati, ma spesso lavoratori senza nessuna qualifica. Le ipotesi di reato sono, a vario titolo, associazione a delinquere finalizzata alle fatture false, bancarotta e somministrazione illecita di manodopera. In alcuni casi è contestata l’aggravante di aver agevolato l’attività della criminalità organizzata, perché il denaro frutto dell’evasione fiscale e contributiva delle società poi lasciate fallire sarebbe in parte finito a sostenere famiglie di detenuti legate alla cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto (Crotone). Gli impieghi dei lavoratori sarebbero serviti talvolta a creare le condizioni per l’accesso a benefici giudiziari.

«Adesso vai a prelevare...mi porti 2.000 euro al mese... a me...che abbiamo i nostri carcerati da mantenere". Ci sono anche dialoghi come questo nelle intercettazioni agli atti dell’indagini. Discorsi in cui parlano, in particolare, i fratelli Antonio e Alfonso Aloisio, finiti in carcere, che si presentavano come imprenditori ma sarebbero "contigui alla ‘ndrangheta", mutuando dalle cosche "i metodi violenti per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui loro cantieri o con gli operai che vi lavorano". Così respingevano un tentativo di estorsione, minacciavano "un fornitore che sollecita il pagamento delle sue prestazioni" e punivano "un operaio che aveva appiccato l’incendio in un magazzino per protesta contro la mancata apertura di una pratica infortunistica".

Erano una trentina le richieste di custodia cautelare avanzate dal pm Bruna Albertini nell’indagine della Guardia di Finanza tra Milano e Varese, coordinata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci capo della Dda milanese. Il giudice Giusi Barbara ha ritenuto di non accoglierle per gli imprenditori che a suo giudizio non sarebbero stati consapevoli del timbro ’ndranghetista delle società alle quali a propria volta avevano affidato parte dei lavori. Tra gli indagati c’è anche Maria Antonietta Ventura, la 54enne presidente del gruppo di famiglia tra le maggiori industrie del settore, che era stata anche candidata da Pd e M5S alla presidenza della Regione Calabria, poi ritiratasi. E il carcere era stato chiesto per Alessandro e Edoardo Rossi, ai vertici dell’omonimo gruppo che lavora pure in Svizzera e nel Nord Europa. Per la Dda ci sarebbe stato un vero "piano di spartizione in aree di competenza dell’intero territorio nazionale" da parte delle imprese che ottenevano gli appalti per i lavori da Rete ferroviar ia italiana, che nell’indagine è "parte offesa".