Pianura Padana fabbrica di ammoniaca: così l’inquinamento non concede tregua

Uno studio svela perché in pieno lockdown il Pm10 non è calato come ci si aspettava: è l’effetto collaterale di allevamenti e colture intensive

Inquinamento in Pianura Padana

Inquinamento in Pianura Padana

Milano - Il primo lockdown ha riacceso il faro sull’inquinamento in Lombardia e su due sorgenti: traffico ma anche zootecnia. «La sfida per l’aria pulita è agire su entrambe»: nasce così un nuovo studio, “Inhale“, che vede al lavoro l’università Bocconi, Rff Cmcc- European Institute on Economics and the Environment e Legambiente Lombardia, finanziato da Fondazione Cariplo. Se il monossido di azoto (No) è sceso del 58% nel marzo del 2020 rispetto al periodo medio 2016-2019 e il biossido di azoto (No2) del 38% (dal Report del progetto Life PrepAir presentato a ottobre) «per il Pm10 il calo non è stato così drastico (–19 e –14% rispettivamente nelle stazioni da traffico e di fondo, indicano i ricercatori di PrepAir, ndr) come per il Pm2,5. Non c’è stato, insomma, quel miglioramento della qualità dell’aria che ci aspettavamo», sottolinea Lara Aleluia Reis, scienziata del Rff-Cmcc che collabora al progetto Inhale (Impact on humaN Health of Agricolture and Livestock Emissions). 

Ci sono stati addirittura due episodi - tra il 9 e il 13 marzo e tra il 15 e 22 marzo - di superamento dei limiti giornalieri. E così l’indiziato numero uno – nella Lombardia in standby – è diventato l’ammoniaca (Nh3). Una parte importante del Pm10 nel bacino padano è composta da particolato secondario – che si forma in atmosfera in seguito a reazioni chimiche a partire da altre sostanze – e dagli studi emerge la componente inorganica (solfato e nitrato di ammonio), ammoniaca in primis. «Più del 95% delle emissione di Nh3 deriva dall’agricoltura e dallo spandimento agricolo di liquami da zootecnia – ricorda Reis –. Partendo dalla letteratura sul tema, che c’è già, utilizziamo ora metodi di data science, come machine learning ed econometria spaziale, per un nuovo studio concentrato sulla Lombardia. La pandemia di Covid-19 ci ha permesso di isolare il contributo settoriale, andiamo a fondo per capire le diverse sorgenti». Se nelle quattro regioni padane (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) si produce il 62% delle emissioni italiane di Nh3, «quasi metà sono concentrate in Lombardia orientale: effetto collaterale dell’allevamento intensivo», fanno i conti i ricercatori. 

«Si incroceranno le condizioni geografiche, meteorologiche, la concentrazione di Pm10 e la localizzazione delle diverse sorgenti per capire l’impatto dell’agricoltura sull’inquinamento dell’aria e sulla salute umana in Lombardia», spiega Reis. Perché se l’Italia è il secondo Paese dell’Unione Europea per numero di morti premature per inquinamento atmosferico, il paziente cronico è la Pianura Padana. Dove per la sua conformazione c’è poco “ricircolo d’aria“ e continuano ad accumularsi emissioni. Un inventario, gestito dall’Arpa Lombardia, valuta le attività che interferiscono di più. Il progetto “Supersiti“ ha evidenziato che in inverno la concentrazione di nitrato e solfato di ammonio può superare anche il 40% del totale della massa rilevata di Pm10 nell’intero periodo a Milano, con contributi superiori al 60% durante lo spandimento di effluenti di allevamento. 

I risultati di Inhale sono attesi per l’inizio del prossimo anno. «Sapere l’impatto in termini di salute umana servirà anche a dare una visione per politiche di riduzione dell’inquinamento – conclude la scienziata – indicando per esempio i posti in cui è meglio non intensificare l’agricoltura o dove servirà una gestione diversa delle emissioni, a partire da un diverso stoccaggio, spandimento o stabulazione». Creando finestre di spandimento ”intelligenti”, che riducano al minimo l’esposizione umana o agendo sulle tecniche di spandimento. Il tutto instaurando un dialogo costante col settore agricolo, cruciale per la tutela stessa dell’ambiente.