Quando Enrico Mattei fondò Il Giorno, il quotidiano che rivoluzionò il giornalismo

Nato nel 1956 per dare al presidente dell’Eni un veicolo di espressione, fin dalla prima uscita cambiò il modo di fare i giornali

La prima pagina de Il Giorno, uscito il 21 aprile 1956

La prima pagina de Il Giorno, uscito il 21 aprile 1956

La nascita del “Giorno” la ricordo bene perché fui un suo lettore dal primo numero tanto era diverso dai grigi quotidiani usciti quel 21 aprile 1956, a cominciare dal Corrierone della famiglia Crespi. Quel nuovo giornale, fondato da Enrico Mattei anche per veicolare la sua linea politica, aveva una impaginazione molto mossa su otto colonne, un titolone di apertura a tutta pagina, una vignetta di Cummings tratta dal Daily Express e anche all'interno proseguiva con quel tono spigliato, sino al Diario di Milano, dove due cronisti di punta come Giancarlo Galli – soprannominato il Gallino per la sua figura minuta – ed Ettore Masina – futuro vaticanista di punta con Giovanni XXIII – sfornavano vivaci e polemiche inchieste, per esempio sulla Centrale del latte ancora privata di Peschiera Borromeo dove denunciavano pochi veri controlli su qualità e sanità del latte distribuito.

Altre inchieste le sviluppava l'allora giovane Bernardo Valli di Parma, come una schiera di colleghi imbarcati a Milano, a partire dal più anziano Pietrino Bianchi, critico cinematografico capace di condensare in una scheda le critiche più acute. Per il teatro c'era il pensoso e tormentato Roberto De Monticelli, anche lui di alto livello.

Per la musica Beniamino Dal Fabbro, che era uno dei rari anti-callasiani negli anni in cui la Maria era ancora in voce e per lei venivano riscoperte opere come “Macbeth” di Verdi e “Anna Bolena” di Donizetti, per non parlare degli affascinanti “Puritani” di Bellini con un cast oggi impensabile per qualità (Panerai, Rossi Lemeni, Stignani ecc.). Con regie magari di Luchino Visconti che suscitavano l'entusiasmo dei più e la freddezza dei tradizionalisti. Ma “la Maria” era adorata. Se ci fossero state ancora le carrozze a cavalli sicuramente i suoi fans li avrebbero staccati per sostituirsi loro alle stanghe.

Il Giorno nei primi anni di Gaetano Baldacci aveva anche rubriche di costume molto pungenti da Roma, con Giancarlo Fusco che seguiva, come anche Adele Cambria, le cronache movimentate della nascente Dolce Vita e i suoi primi scandali notturni. Il modello era quello dell'americano Art Buchwald.

Un’altra novità assoluta per l’Italia erano i fumetti che si prendevano una mezza pagina abbondante con le vicende dell’inglese Andy Capp tipico esponente di un assistenzialismo diffuso o dell’enigmatico Professor P. Appassionanti le imprese del giornalista Marco Costa che si trasformava nell’invincibile Superman Nembo Kid difensore dei deboli e dei perseguitati ingiustamente.

Baldacci, tuttavia, assunse una “sua” linea che non coincideva con quella dell’Eni divenuta proprietario esclusivo del giornale con l’uscita definitiva di Cino Del Duca. E Mattei scelse come direttore Italo Pietra che aveva conosciuto nei giorni della Liberazione di Milano come comandante generale delle Brigate dell’Oltrepo pavese e fra i due si era stabilita una grande amicizia.

Pietra non cambiò radicalmente l’assetto grafico del giornale. Gli fece dare dall’ufficio competente un assetto più razionale e ordinato fin dalla prima pagina, che rimase col titolo di testata a tutta pagina, avendo sotto a sinistra l’editoriale, cioè il fondo chiamato “la situazione”. Questo, in genere, non girava in seconda pagina ed era firmato dallo stesso Pietra oppure da Umberto Segre, grande specialista di politica estera, che però interveniva più raramente anche su questioni interne.

All’interno le pagine a specchio di interni ed esteri erano “i fatti della vita”, l’economia con la Borsa di Milano era condensata in una pagina dall’intestazione di Economia e Finanza con una breve sintesi di Wall Street. Grande spazio era dato allo sport ed era il regno fantasioso ma tecnicamente ineccepibile di Gianni Brera, con un secco e rigoroso Mario Fossati e altri redattori di qualità e dove si facevano le ossa collaboratori quali l’inimitabile Gianni Clerici nel tennis e Marino Bartoletti nel basket, poi passato al mondo della canzone. Nando Pensa copriva l’area della boxe, anche se per i grandi incontri rispuntavano firma e competenza del miglior Brera.

Passando a tutt’altro settore, c’erano i vaticanisti che si occuparono del brevissimo ma interessante papato di papa Luciani e prima ancora della grande svolta di Giovanni XXIII, che sotto quell’aria paterna nascondeva l’esperienza del fine diplomatico esplicitata ad Ankara e a Parigi dove bisognava riscattare il Vaticano dalle compromissioni con Vichy. Il Concilio Vaticano II fu aperto da un editoriale di Enzo Forcella, grande notista politico.