La lezione di Don Ciotti: “La mafia al nord spara meno ma è sempre più forte”

Il fondatore di Libera nella Giornata in ricordo delle vittime innocenti leggerà in Duomo anche i nomi dei morti di Cutro: “Uccisi da un sistema mafioso”

Don Luigi Ciotti

Don Luigi Ciotti

Milano – I nomi, 1.069 nomi, delle vittime innocenti delle mafie. Accanto agli 86 nomi dei morti del naufragio di Cutro "vittime anch’esse di un sistema mafioso", dice con forza don Luigi Ciotti. Sono stati letti ieri nella basilica di Santo Stefano Maggiore. Verranno scanditi in piazza Duomo, uno dopo l’altro, al termine del corteo per la ’Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie’ promossa da Libera, che oggi torna a Milano, 13 anni dopo.

Don Ciotti, perché ha scelto di leggere anche i nomi delle vittime di Cutro, legandoli alle vittime innocenti di mafia?

"Perché il problema non sono solo gli scafisti, il vero problema sono i mandanti. Sono quelli che guadagnano il denaro, che gestiscono il potere, che permettono tutto questo. Sono certamente mafiosi, di espressione diversa. Quella di Cutro è una ferita che dobbiamo sentire nostra e dobbiamo riflettere: le persone che respingiamo le consegniamo nelle mani di criminali. Abbiamo tutti l’immagine della strage di migranti a Lampedusa. Tanta commozione, emozione, tanti discorsi, ma non basta commuoversi, bisogna muoversi. Sentire che tutto questo tocca le nostre coscienze, la nostra vita. E invece abbiamo troppi cittadini a intermittenza".

La decisione di leggere gli 86 nomi è stata accolta con un applauso dai famigliari delle vittime durante l’assemblea all’università Statale. Scelta capita e condivisa?

"Il primo diritto di ogni uomo è quello di essere chiamato per nome: loro sanno il dolore che si prova quando viene ignorato. Purtroppo molti nomi non ci sono ancora a Cutro, ci sono sigle, perché devono essere ricostruiti mentre da quel mare e su quella spiaggia si continuano a raccogliere cadaveri. Restituire il nome: la nostra giornata della memoria e dell’impegno nasce proprio da qui. Ricordo il primo anniversario della Strage di Capaci: si parlava di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dei ’ragazzi della scorta’. Vicino a me c’era una mamma disperata, che non conoscevo. Mi strattonava la mano: ’Perché non fanno il nome di mio figlio?’ Non sono numeri, casi, sono persone. E lei voleva sentire il nome di suo figlio, Antonio Montinaro, accanto a quello Vito Schifani e Rocco Dicillo, che hanno perso la vita per accompagnare il giudice. Ricordiamoli tutti, con la stessa dignità. Ricordiamo i grandi magistrati, che hanno segnato solchi importanti nella storia del nostro Paese nel contrasto alla criminalità organizzata, non dimentichiamo anche il dolore, le fatiche, di mamme, mogli, figli che hanno perso i loro cari per la nostra libertà".

Oggi saranno in corteo. Perché avete scelto di tornare a Milano?

"Perché la mafia al Nord è anche la più forte. Fa meno rumore, meno chiasso, ma qui ci sono tante ’locali’, ha un’organizzazione complessa. Oggi le mafie sparano di meno, ma creano morti vivi. Le mafie sono parassiti che mangiano il sistema, la società, i nostri contesti dall’interno. Ricattano persone, si muovono con l’usura, il gioco d’azzardo, il traffico di stupefacenti. Ci sono eco-mafie, agri-mafie. Si muovono soprattutto nel mondo della finanza. Le organizzazioni criminali si sono messe insieme, con uomini cerniera, per trasformare il denaro insanguinato in azioni. Hanno mezzi potenti: usano nuove tecnologie e il web spostando capitali immensi. Non possiamo restare indifferenti".

Sono passati 30 anni dalla strage di via Palestro.

"Siamo qui per ricordare anche questo, come Lea Garofalo, donna coraggiosa che si ribellò alla ’ndrangheta. Dopo la fase stragista del ’92 e un mese di silenzio papa Giovanni Paolo II va nella Valle dei Templi e davanti a 100mila persone, all’ultimo momento, lancia un’invettiva a braccia, parole forti. E la mafia risponde con le bombe nelle chiese di Roma, poi sale fino a Firenze, arriverà a Milano con la sua scia di sangue".

Milano in questi giorni è anche al centro delle proteste contro il 41-bis. Lei cosa ne pensa?

"Il problema delle carceri è complesso. Ma non si può non avere coscienza della storia del 41-bis, nato proprio con Falcone per bloccare le comunicazioni, perché dal carcere continuavano a comandare. E questo va fermato ancora. Certo, bisogna battersi perché nelle carceri venga rispettato il senso della nostra Costituzione e la dignità della persona. C’è chi potrebbe accedere a percorsi alternativi, come sulla carta è previsto. Chi è in carcere per reati mafiosi invece non deve potere comunicare con l’esterno anche se il rispetto della persona va garantito sempre, pure a loro. E c’è da augurarsi ci siano cambiamenti, voglia di collaborare".

Pensa che anche Matteo Messina Denaro potrebbe parlare, finalmente, dopo trent’anni di latitanza?

"Questo non lo so, me lo auguro. Anche se non sta molto nella testa del leader criminale mafioso farlo. Certo potrebbe portare un contributo alla ricerca della verità. E oggi l’80% delle vittime non conosce ancora la verità".