Cislago Benedetto Conti suicidio. Dopo la morte le minacce degli usurai alla moglie

L'inchiesta: l'imprenditore si uccise gettandosi con l'auto contro un tir per lasciare alla donna i soldi dell'assicurazione. Ma le richieste di soldi non si esaurirono

La donna si è rivolta in due occasioni ai carabinieri (Archivio)

La donna si è rivolta in due occasioni ai carabinieri (Archivio)

CISLAGO (Varese) - "Trascorsi alcuni giorni dalla morte di Benny, forse anche un mese, venne a casa mia Michele Garzo. Mi disse che lui voleva bene a me e a mio marito e che comunque noi gli dovevamo dei soldi che lui voleva indietro". A parlare è la moglie di Benedetto Conti, che ricostruisce con i carabinieri l’inizio di un’escalation di intimidazioni che la costringerà a consegnare più di 66mila euro in tre anni a Michele Garzo e al padre Pietro Santo, arrestato nel 2009 nell’operazione anti ’ndrangheta Artemisia sulla cosca Gioffrè e condannato a 7 anni di reclusione per associazione mafiosa. Il suo "Benny" è morto qualche settimana prima, il 31 maggio 2011, in un tragico incidente stradale di cui ora, a undici anni dai fatti, la Dda di Milano potrebbe riscrivere la storia: gli inquirenti sospettano che il quarantacinquenne titolare di una concessionaria d’auto nel Varesotto lanciò volontariamente la sua Punto contro il tir che stava arrivando sulla carreggiata opposta, nello stesso giorno in cui sottoscrisse una polizza vita che in caso di infortunio letale avrebbe garantito alla compagna e alla figlia all’epoca minorenne un premio da mezzo milione di euro.

Suicida per disperazione?

Un modo, sempre stando alle indagini dei militari, per liberarsi dalla morsa degli uomini legati ai clan (che si stavano inesorabilmente impossessando della sua attività) e mettere al sicuro la sua famiglia. In realtà, l’estremo sacrificio dell’uomo, stritolato dalla pressione di chi si era finto amico solo per renderlo debitore in eterno, sortì solo in parte l’effetto sperato. Subito dopo la sua scomparsa, infatti, i Garzo cominciano a perseguitare la moglie. Che cede per la prima volta alle minacce nell’ottobre 2011, quando consegna a Garzo senior due assegni post-datati da 5.500 euro ciascuno e 10mila euro in contanti. La prima tranche non basta a placare l’appetito criminale di padre e figlio, che prendono di mira pure i genitori della donna: Pietro Garzo si presenta nell’azienda del papà, gli dice chiaramente che "se non gli ridavo i soldi che gli dovevo, li avrebbe pretesi da lui" e gli mette a soqquadro l’ufficio, "buttando per aria gli oggetti sulla scrivania e ribaltando le sedie". Non è finita. Il mafioso torna alla carica nel settembre del 2012, con ancor più violenza: "Io gli dissi che non avevo altri soldi da dargli – ricostruisce la vittima con gli investigatori – ma lui insistette dicendomi che 'gli dovevo dare i soldi che aveva prestato a Benedetto'. Improvvisamente estrasse una pistola che teneva sotto la giacca e me la puntò alla nuca dicendomi 'ti porto le cambiali e tu me le firmi, le paghi e stai zitta' ".

Le minacce alla moglie

Le cambiali sono 20, come da documentazione allegata agli atti d’indagine: hanno scadenze mensili comprese tra l’ottobre del 2012 e il maggio 2014; 19 hanno un importo di 1.250 euro ciascuna e una da 1.050 euro. Totale: 24.800 euro. La moglie di Conti non è in grado di far fronte alle richieste, e di conseguenza le minacce si fanno sempre più pesanti: in un’occasione, Garzo le dice "Se tieni a tua figlia tira fuori i soldi e dammi tutti i soldi che mi devi"; in un’altra, le dà 12 ore per consegnare il dovuto e le urla che in caso contrario "le avrebbe messo la testa in un sacco e i soldi se li sarebbe portati nella bara". In questo lungo periodo di tempo, la donna si rivolgerà due volte ai carabinieri della stazione locale, senza mai sporgere ufficialmente denuncia per paura di ritorsioni. L’ultima consegna di denaro avviene l’8 maggio 2014: 200 euro in contanti e bonifico da 9mila, che fanno salire il conto finale oltre quota 66mila. Poco più di un mese dopo, Pietro Santo Garzo si consegna alla casa circondariale di Bologna per scontare la condanna per mafia emessa nel 2012 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria: ne uscirà solo il 29 maggio 2018.