Il biologico non piace in Lombardia: solo il 4% delle aziende agricole rinuncia ai fertilizzanti chimici

Solo nell’ultimo anno la crescita della produzione si è avvicinata alla media italiana. L’esperto: "Le province più grandi sono ancora indietro". Il caso Franciacorta

Il biologico non sfonda in Lombardia

Il biologico non sfonda in Lombardia

Milano – Il biologico in Lombardia è ancora una minoranza. Numeri che se letti con le regole della politica faticherebbero a garantire una rappresentanza. Il report 2023 diffuso dal Sinab, il Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica, certifica il ritardo della regione rispetto al resto del Paese.

Solo il 5,4% degli ettari coltivati in Lombardia è trattato senza prodotti chimici (fertilizzanti, diserbanti, insetticidi) per la concimazione dei terreni, la lotta agli infestanti, ai parassiti animali e alle malattie delle piante e rinunciando a organismi geneticamente modificati. E soltanto il 4,3% dei produttori (aziende agricole) ha abbandonato il disciplinare tradizionale a favore di quello biologico basato sulla rotazione delle colture, sull’impiego di fertilizzanti naturali e del sovescio, una pratica che consiste nella coltivazione di piante seminate (senape e trifoglio) solo per aumentare la fertilità del suolo.

"La Lombardia è tra le zone più indietro nella conversione al biologico", dichiara Paolo Di Francesco, referente regionale di FederBio, federazione di organizzazioni della filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica. "Le province con maggiore capacità produttiva come Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova faticano a far crescere l’incidenza del biologico se non in alcune zone che hanno scelto di accelerare sulla conversione. È il caso della Franciacorta, dove due terzi dei vigneti hanno la certificazione biologica. Quest’anno qualche azienda ha rinunciato, ma stiamo parlando comunque della metà degli ettari".

Il fenomeno bio, seppur lontano dagli incrementi illustrati dall’andamento della curva tra la metà degli anni ’90 e i primi anni duemila e la successiva accelerazione tra il 2014 e il 2020, continua a crescere: a fine 2022 in Italia si contano 2,3 milioni di ettari bio, il 7,5% in più del 2021, il 18,7% della produzione agricola. In Lombardia il trend di crescita annuale è simile (+7,1%). Ma i 54mila ettari bio rappresentano solo il 5,4% della capacità agricola della regione.

Aumenta anche il numero di aziende agricole certificate: 82.603 in Italia (+8,9% rispetto al 2021), il 7,3% dei produttori. In Lombardia l’incremento è più lento (+5,9%) e l’incidenza meno accentuata (4,3%): 3.260 agricoltori hanno abbandonato i fertilizzanti. "Indietro non credo si possa tornare: la crescita proseguirà", assicura il referente lombardo di FederBio. "Bisogna fare in modo che il consumatore sia consapevole, conosca le differenze nutrizionali di un prodotto bio rispetto a una produzione tradizionale che non demonizzo e non va demonizzata".

Anche il bio non è tutto uguale. "La premessa è che se il biologico non è più un prodotto di nicchia è anche grazie alla grande distribuzione, che offre un catalogo di prodotti certificati sempre più ampio", spiega Di Francesco, presidente di “La buona terra“, associazione lombarda degli agricoltori biologici e biodinamici. "Ma quel biologico, seppur correttamente certificato, è un biologico di primo livello. L’operatore evita di utilizzare i prodotti che non devono essere impiegati da regolamento ma non è ancora un produttore impegnato nelle tecniche che migliorano la fertilità del terreno. L’auspicio è che quel produttore non si fermi a questo livello ma gradualmente adotti quelle pratiche come la rotazione delle colture e il sovescio per arricchire il suolo di sostanze nutritive invece di limitarsi a sfruttare il terreno per la produzione agricola".

Che ci sia biologico e biologico lo si capisce anche dal prezzo :"c’è una pasta da 0,79 a 3 euro per mezzo chilo", osserva Di Francesco. "è positivo perché consente a tutti di arrivare al biologico. I consumi hanno resistito anche ai rincari, anche se è innegabile che una flessione c’è stata più nelle catene bio che nei prodotti bio della grande distribuzione".