
Il ministro Maria Elena Boschi sull'aereo che il 28 maggio 2014 portò in italia una trentina di bimb
Milano, 5 agosto 2015 - “Aiutateci a sapere come stanno, come crescono e quando arriveranno a casa i nostri figli”. È l’appello lanciato dall’avvocato Antonella Prete, in una conferenza stampa alla Camera dei deputati, a nome di 22 famiglie, alcune lombarde, che hanno adottato bambini nella Repubblica democratica del Congo e aspettano da quasi due anni di poterli abbracciare. Bimbi che sono già per la legge congolese figli degli italiani ma che non possono lasciare Kinshasa perché dal settembre 2013 il governo africano ha sospeso tutte le adozioni internazionali, anche quelle che hanno ottenuto il via libera dal tribunale dei minori, e bloccato la chiusura burocratica definitiva delle pratiche e soprattutto la concessione del visto d’uscita ai bambini. Una decisione presa dopo la scoperta di “pesanti irregolarità” da parte del Dipartimento per l’emigrazione congolese e che ha avuto come unica concessione all’Italia la partenza di trentina di bimbi nel 2014 con un volo di Stato accompagnati dal ministro Boschi.
“Le irregolarità nelle procedure che hanno scatenato la vertenza non riguardano l’Italia che da sempre, su questo fronte, è virtuosa - sottolinea Antonella Prete, mamma dal 2013 di due bambini di 4 e 6 anni, visti sino a oggi solo in foto - chiediamo di sapere cosa si sta facendo per portare i nostri figli in Italia”. Sono un centinaio le famiglie italiane che da quasi due anni aspettano oltre 150 bambini. Le 22 famiglie lamentano una scarsa informazione dalla Commissione adozioni internazionali (Cai) e dal governo. “In 22 mesi abbiamo scritto ripetutamente sia al premier Renzi sia alla Cai, ma per tutta risposta abbiamo ricevuto sei mail in cui ci chiedevano di avere pazienza ed evitare iniziative singole. Abbiamo incontrato una volta la Cai, che ci ha rivolto analoghe richieste. Nessuna informazione sullo stato di un’eventuale trattativa, nessuna spiegazione sul motivo per cui i nostri figli sono ancora in orfanotrofio“. L’ultima mail della Cai, hanno riferito, è arrivata il 28 luglio. “Chiedeva ancora una volta di avere pazienza perché tutti stanno lavorando senza sosta per arrivare a un risultato positivo“ e di evitare iniziative mediatiche “che potrebbero far saltare le diplomazie in atto“. Una mancanza di informazioni e un silenzio chiesto anche agli enti che seguono le famiglie nell’adozione internazionale. Una situazione che non c’è in altri Paesi coinvolti come gli Usa e la Francia. Da qui la domanda: “Perché gli altri genitori stranieri vengono informati con puntualità e periodicamente delle attività di trattativa in corso, mentre noi siamo costretti a un avvilente silenzio?”. Un silenzio ancor più terribile visto che su social e media stranieri si è anche parlato di bimbi adottati che in questi due anni sarebbero morti di morbillo o malaria. A rendere tutto più complicato anche l’apparente volontà, più volte espressa, dalle autorità congolesi,in occasione di incontri internazionali, di trovare una soluzione e di sbloccare l’odissea dei bambini e delle loro famiglie adottive. Soluzione però che al momento il governo di Kinshasa e il presidente Joseph Kabila non hanno trovato. E questo nonostante le richiese della Ue, le pressioni francesi, le sollecitazioni del governo Usa e l’intervento diretto con Kabila del presidente Obama. Logiche politiche e diplomatiche che sono difficili da accettare per chi da due anni attende di portare a casa il proprio figlio. “Quando potremo abbracciare i nostri figli? La vita non aspetta“ ha detto una mamma adottiva La scelta di esporre pubblicamente il caso adozioni Congo non trova d'accordo tutte le le famiglie adottive. Critiche sono comparse sui principali social da parte di chi, dopo due anni di attesa, vi vede una strumentalizzazione politica e un attacco alla Cai o teme che l'appello in qualche maniera possa interferire nella attività diplomatica o peggio irritare il governo congolese. Una cosa è certa in questa triste storia, come ha detto uno dei rappresentanti delle famiglie ci sono "solo uomini e donne con figli che vivono lontano senza l’affetto di una mamma e di un papà».