
Il ritrovamento del cadavere nei boschi
Villa Guardia (Como), 14 agosto 2025 – Chi l’aveva trovata, l’8 agosto 1996, si era trovato davanti a una scena cruenta a drammatica: una donna di giovane età, accoltellata 18 volte, con l’addome aperto e il suo feto in vista.
Un’agghiacciante dimostrazione, che subito aveva spinto i carabinieri a pensare che si fosse trattato di un’esecuzione nell’ambiente della prostituzione, un atto dimostrativo commesso nei confronti di una donna che non aveva voluto rinunciare a quella gravidanza. Ma dare un nome a quella vittima di inaudita violenza, abbandonata in un bosco a Maccio di Villa Guardia, all’epoca era stato impossibile. Di conseguenza le indagini, le prime condotte a Como dall’attuale procuratore Massimo Astori, erano rimaste al palo.
Per quasi trent’anni, quella donna è stata dimenticata, fino a un anno fa, quando alcuni carabinieri del Nucleo Investigativo di Como hanno ripreso in mano il suo fascicolo. In poche settimane, grazie a un’intuizione e ai progressi fatti dai programmi di incrocio dei dati, alla vittima di quell’omicidio è stato dato un nome certo. Ma non solo: è stata rintracciata la famiglia in Albania, che ha già proceduto al suo riconoscimento e si è resa disponibile al prelievo del Dna, in attesa di una formalizzazione scientifica della sua identità, che gli consentirà di riportarla a casa e metterà la parola fine a un’attesa infinita.
Chi era
Si chiamava Paqize Spahiu, era nata in un piccolo villaggio dell’Albania orientale il 15 marzo 1976, e uccisa quando aveva 20 anni. Originaria della zona di Bulqiza, fino a un anno prima della sua sparizione viveva a Dovolan con i familiari, per poi andare a stare con il marito.
In Italia era arrivata per lavorare, ma non è chiaro in quali condizioni e con quali aspettative. Certamente era finita in mezzo alla strada, girando l’Italia prima di arrivare nel Comasco. Gestita da un protettore che non le consentiva nessun margine di libertà, come avveniva in quegli anni, quando la prostituzione per le donne dell’Est corrispondeva alla riduzione in schiavitù.
Il riconoscimento
Un anno fa, quando i carabinieri hanno riaperto il suo fascicolo, sono partiti da due cartellini di altrettante identificazioni avvenute in Puglia e Liguria, collegati a lei, entrambi con generalità false: Katerina Anasi, 20 anni, e Silvana Spahin, 22 anni.
L’inserimento del suo volto negli attuali programmi di riconoscimento facciale, ha restituito una terza identificazione, avvenuta in Toscana, che con una delle precedenti aveva in comune, come luogo di origine, il piccolo paese di Dovolan.
La foto
È quindi sorto il dubbio che quel dato fosse reale. La sua foto è stata inviata al Servizio di Cooperazione Internazionale, chiedendo di interessare la polizia della zona affinché andasse casa per casa nel tentativo che qualcuno la riconoscesse. E così è stato: al comando provinciale dei carabinieri, un giorno si sono presentati due fratelli della giovane donna.
L’hanno riconosciuta, senza ombra di dubbio, in ogni foto che gli è stata mostrata, raccontando ciò che sapevano della sua partenza e sparizione. Dal 1996 una lapide senza nome al cimitero di Villa Guardia custodisce i resti di Paqize. Quando arriverà l’esito dell’esame dei Ris, i familiari potranno riportarla a casa.