
INCONTRI I verbali del pentito sono allegati all’operazione Insubria che ha coinvolto decine di elementi soprattutto nel ComascoMILANO 18/11/2014 TRIBUNALE PALAZZO GIUSTIZIA PROCURA CONFERENZA STAMPA CARABINIERI ROS - OPERAZIONE INSUBRIA - 40 ARRESTI TRE SODALIZIA DEL NORD RITUALI PER AFFILIAZIONE ASSOCIAZIONE MAFIOSA NDRANGHETA - RIPRESO IL GIURAMENTO NDRANGHETISTA - FOTO SALERNO/NEWPRESS PER FACHIN TOGNOLATTI RUGGIEROMILANO 18/11/2014 TRIBUNALE PALAZZO GIUSTIZIA PROCURA CONFERENZA STAMPA CARABINIERI ROS - OPERAZIONE INSUBRIA - 40 ARRESTI TRE SODALIZIA DEL NORD RITUALI PER AFFILIAZIONE ASSOCIAZIONE MAFIOSA NDRANGHETA - RIPRESO IL GIURAMENTO NDRANGHETISTA - FOTO SALERNO/NEWPRESS PER FACHIN TOGNOLATTI RUGGIERO
Como, 16 marzo 2015 - «MARIANO COMENSE è il crimine della Lombardia». Ad affermarlo è Luciano Nocera, durante uno dei suoi lunghi interrogatori davanti ai magistrati della Dda di Milano. Precisa che l’assegnazione del ruolo arriva direttamente da Polsi, zona di San Lucca, Reggio Calabria: « I locali riconosciuti della zona comasca erano, per quanto a mia conoscenza, Mariano Comense che è il più importante, perché è capo crimine. Poi Erba, Canzo e Calolziocorte». Nocera dice di aver chiesto conferme ad altri affiliati autorevoli: «Mi hanno detto che finché fosse stato in vita il «vecchio», e cioè Salvatore Muscatello, il crimine in Lombardia lo avrebbe avuto Mariano Comense». Ottantenne, condannato in definitivo nell’operazione Infinito, dove gli era stato riconosciuto il suo ruolo di capo della locale di Mariano Comense, Muscatello era stato messo agli arresti domiciliari per motivi di età, l’ottobre scorso è tornato in carcere.
UN’ALTRA ordinanza di custodia della Dda di Milano, che aveva colpito la cosca dei Galati, aveva messo in luce il suo ruolo centrale, mai abbandonato e mai tradito. Gli inquirenti lo avevano osservato e ascoltato fin dal primo giorno in cui gli era stato concesso di ritornare e casa, nel 2012, mettendo in fila le decine di persone che ogni giorno andavano da lui a riferire, chiedere, mantenere buoni rapporti. «Nella casa di Muscatello - aveva spiegato il procuratore aggiunto della Dda Ilda Boccassini - andavano persone per confrontarsi sulla gestione della «locale» e, tra queste, anche la moglie di un presunto boss della cosca Lampada-Valle, per chiedere un contributo per la sua famiglia». Muscatello non appena scarcerato, avrebbe ripreso il controllo del territorio, grazie anche alla collaborazione di una serie di persone. Di fatto, dalla Dda viene monitorato il lavoro di un capo, che non si nega mai, che fa fronte alle esigenze di mutuo soccorso di chi ha un parente in carcere, concede prestiti di denaro e dispensa consigli di ogni genere. Secondo Luciano Nocera, molto più di un semplice capo locale, addirittura il vertice della Lombardia. Gli interrogatori del pentito – depositati negli atti del processo Insubria - sono una sequenza di nomi e cognomi, rapporti tra persone, legami di parentela, episodi nei quali, con frasi metaforiche ma ben note nel codice degli associati, vengono mosse accuse, strette alleanze e prese le distanze. Sostiene di essersi affiliato tra 2004 e 2005, mentre era detenuto a Como assieme a Luigi Vona, arrestato in Infinito, come capo della locale di Canzo: «In occasione del conferimento della santa – dice – ricordo che Vona mi fece un taglio dietro la schiena, e bevve il mio sangue». Nocera mostra la schiena ai magistrati e una cicatrice a forma di croce, testimonianza del suo ingresso nella ‘ndrangheta. Nel 2009, Nocera afferma di essere stato rimproverato da Vona, che lo accusa di essere poco attivo nella locale. «Mi disse che adesso erano tutti assieme – mi fece anche il nome di compare Salvatore, intendendo Salvatore Muscatello. Chiesi a Vona di insegnarmi alcune regole di ’ndrangheta, mi disse che era inutile, le stavano cambiando». Ma il conferimento della dote, da parte di Nocera, comporta anche una condivisione, che si celebra quando esce dal carcere: «Comprai una torta – racconta - e festeggiai».
ELENCA i partecipanti, soggetti poi indicati nell’indagine Infinito, che aveva colpito l’Erbese: «Vona mi disse che per avere la dote del camorrista di sgarro bisognava avere compiuto almeno un delitto di sangue, ma che adesso non era più così perché c’era una certa inflazione nel conferimento delle doti». Conferma, come già fatto da indagini Dda, che in vent’anni nulla è cambiato nel Comasco quanto a gestione della criminalità organizzata: sempre gli stessi i soggetti, quelli dell’operazione «Fiori di San Vito», primo grande atto di contrasto, ma anche di mappatura, della ’ndrangheta territoriale. «Tutte le locali che erano state coinvolte erano state chiuse – dice Nocera -. L’unica che ha continuato a operare era Mariano Comense». Ma nel giro di pochi anni, ogni locale viene ricostruita, man mano che le condanne arrivano a fine pena.