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Como, rubava i contributi dei frontalieri per mantenere cinque amanti

Condannato a nove anni di reclusione Antonio Giacchetta, ex direttore del patronato Inca-Cgil di Zurigo

Disperati i frontalieri rimasti senza pensione

Como, 22 settembre 2015 - Cene in ristoranti esclusivi, orologi preziosi e altri cadeau acquistati per tener buone le cinque amanti che lo distraevano mentre si stava separando dalla moglie, oltre alle frequentazioni di escort e altre amenità che nel corso degli anni l’hanno portato a spendere non meno di 45mila franchi al mese (oltre 43mila euro) per mantenere i suoi vizi.

Peccato che Antonio Giacchetta, 52 anni, ex direttore del patronato Inca-Cgil Svizzero, quel tenore di vita non potesse permetterselo. Il sindacato italiano gli passava uno stipendio di 8mila franchi al mese (oltre 7mila euro) per mantenersi nel suo ufficio a Zurigo, ma lui per riuscire a vivere da nababbo non si è fatto scrupolo di dilapidare i contributi che 250 lavoratori frontalieri versavano all’Inca per la pensione e invece finivano direttamente nelle sue tasche. Un fiume di denaro, versato dagli ignari lavoratori per un periodo che va dal 2001 al 2009, quando il suo bluff è stato finalmente scoperto.

Oltre 34 milioni di franchi di cui Giacchetta, condannato a nove anni di detenzione dal tribunale di Zurigo, ne ha fatti sparire oltre un terzo, più di 11 milioni di euro. I giudici non hanno avuto dubbi nel condannarlo, riconoscendolo «truffatore abituale», tanto da disporre nei suoi confronti la detenzione in carcere, visto il pericolo di fuga. Disperati i 76 pensionati italiani che si sono costituiti parte civile. Alcuni di loro vivono nelle province di Como e Varese, altri risiedono in svizzera, tutti ora sono costretti a vivere senza pensione per la «vita spericolata» di Giacchetta.

Durante il dibattimento l’ex-dirigente della Cgil ha provato anche a giustificarsi, spiegando di non aver dilapidato solo i soldi dei frontalieri, ma anche 750mila franchi vinti nell’estate del 1997 al Lotto svizzero. «Nel giro di quattro anni avevo debiti per oltre 300mila franchi - ha confessato - ero disperato e trovo ripugnante quello che ho fatto». Semplice quanto efficace il modo in cui veniva articolata la truffa: falsificando i timbri del consolato Giacchetta riusciva a farsi versare dalle casse previdenziali sul proprio conto corrente tutti i contributi del lavoratore che si era rivolto agli uffici dell’Inca di Zurigo. I truffati rimanevano all’oscuro del raggiro per anni, perché il sindacalista continuava a erogare dal proprio conto una prestazione mensile. Fino a che, nel 2009, i pagamenti improvvisamente sono cessati. Lavoratori e frontalieri si sono rivolti anche alla Cgil italiana per chiedere un risarcimento, ottenendo alcune sentenze favorevoli da parte dei giudici elvetici, benché il patronato Inca di Zurigo fosse una società di diritto svizzero. Anche per questo per cautelarsi la Cgil un paio di anni fa decise di chiudere tutte le sedi svizzere dell’Inca, salvo poi riaprirle un anno dopo con una diversa ragione sociale.