Se tanti italiani rinunciano alle cure mediche, 4,5 milioni secondo le ultime stime e di questi 2,5 milioni per motivi economici, a Campione d’Italia sembra esserci il problema opposto. I cittadini si curano, e fin qui nulla di male, ma siccome il paese è un’exclave italiana in terra Svizzera, in tanti per non dire troppi si rivolgono agli ospedali e le cliniche della vicina Lugano dove, per una visita o un esame, non si deve attendere mesi o anni come capita in Italia, ma al massimo pazientare per 48 ore. Il problema è il costo di questi servizi e soprattutto a chi spetta pagarli, un problema sollevato più volte negli ultimi anni l’ultima il 17 giugno scorso dal capogruppo del Pd in regione Lombardia, il consigliere Pierfrancesco Majorino.
“A quanto ammonta il totale delle risorse, dal 2018 a oggi, che la regione dovrebbe garantire per coprire le spese sanitarie e quelle farmaceutiche sostenute dai cittadini campionesi? Vogliamo sapere quali azioni intende promuovere la Regione in merito a queste spese sanitarie”. Il timore, neppure troppo velato, è che le spese sanitarie dell’ex clave possano generare un buco nelle spese sanitarie di Palazzo Lombardia. Nell’incertezza sono emerse le ipotesi più incredibili, compreso un buco da 200 milioni di euro alimentato da una spesa annua compresa tra i 4 e i 6 milioni di franchi (4,2 a 6,4 milioni di euro).
Una storia complicata e controversa che per comodità si può far partire dal 28 gennaio del 2005, quando Italia e Svizzera firmarono un accordo per l’assistenza sanitaria dei cittadini di Campione d’Italia. Le spese erano anticipate dalle assicurazioni private che offrono la polizza obbligatoria e di base, chiamata Lamal, dall’acronimo di Legge sull’assistenza della malattia, che poi trasmetteva le fatture al Canton Ticino, il quale le mandava al governo federale di Berna, che poi chiedeva i pagamenti a Roma, al Sistema sanitario nazionale italiano, infine a pagare era la Regione Lombardia.
Nel 2018 l’allora assessore al Welfare di Regione Lombardia, Giulio Gallera fece causa al Comune chiedendo il pagamento di 89 milioni di spese sanitarie, imputandole al Comune. Gallera vinse in primo grado e ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti del Comune, ma in Appello i giudici bloccarono l’esecuzione del pagamento. Nel luglio 2020 la Giunta regionale diede mandato all’Ats dell’Insubria di comunicare alle autorità elvetiche la fine del sistema delle prestazioni svizzere poi rimborsate dall’Italia.
Nel novembre 2021 un’altra delibera ha annullato la possibilità di usufruire dell’assistenza domiciliare svizzera. Dal 2022 al 30 settembre 2023, i campionesi hanno usufruito delle cure svizzere, presentando però un’impegnativa di un medico italiano e aderendo a un modello (chiamato S2) che prevede la compartecipazione volontaria delle spese da parte dell’assistito. Il Tar della Lombardia ha rimesso in discussione tutto, su ricorso presentato dall’avvocata Barbara Marchesini,decretando che i campionesi sono da equiparare ai cittadini italiani che risiedono all’estero e dunque hanno diritto di rivolgersi alle strutture sociosanitarie svizzere.
“Non c’è nessun buco da coprire, né in Regione né al Ministero – chiarisce il sindaco Roberto Canesi – non ci sono richieste di risarcimento. Del resto non è colpa nostra se in paese non ci sono servizi sanitari. Abbiamo un’interlocuzione diretta con il Ministero e contiamo di raggiungere una nuova regolamentazione di questa materia nell’arco di 5/6 mesi. Da un anno abbiamo un medico di ruolo che fa da filtro alle richieste e le indirizza, in Italia o in Svizzera, a seconda delle necessità. Anche con la Regione abbiamo un ottimo rapporto. Insomma i cittadini di Campione non rappresentano un problema e non hanno nulla da temere”.