Dello, bruciata dall'ex: "Ora lui è in carcere e io sono un uragano"

Sono trascorsi quasi tre anni da quell'episodio di violenza

Parvinder Aoulakh, per tutti “Pinky”

Parvinder Aoulakh, per tutti “Pinky”

Milano, 20 ottobre 2018 - Ferite nel corpo e nella mente, la paura che non passa e il coraggio di lottare, aiutando le donne a ribellarsi prima che sia troppo tardi. Parvinder “Pinky” Aoulakh, 29enne di origine indiana, la notte del 20 novembre 2015 ha deciso di dire basta, dopo anni di maltrattamenti da parte del marito che l’accusava di condurre uno stile di vita «troppo occidentale». L’uomo, Ajaib Singh, l’ha cosparsa di diavolina liquida e le ha dato fuoco sotto gli occhi dei figli a Dello, nel Bresciano. Lui sta scontando una condanna, confermata in appello, a 14 anni di carcere. E la donna, che ha vissuto l’inferno, sta portando avanti una battaglia, collaborando con l’Unione Nazionale Vittime e la Cgil.

Sono trascorsi quasi tre anni. Come è cambiata la sua vita?

«Ora sono più matura e più forte, sono come un uragano. Vivo ancora momenti di crisi ma la mia consolazione sono i miei figli, di 7 e 5 anni, e il mio lavoro. Ho deciso di impegnarmi contro la violenza, mi rivolgo in particolare alle ragazze straniere che fanno più fatica a trovare aiuto».

In che cosa consiste il suo progetto?

«Parlo con le vittime, le aiuto a uscire dall’isolamento e le indirizzo verso centri e associazioni, creando una rete. Quasi tutti i giorni ricevo chiamate di donne disperate. Spesso le indiane che vivono qui non lavorano, conoscono poco la lingua italiana e fin da piccole sono abituate a stare zitte e a subire. È un mondo ancora arretrato, e adesso le mie amiche più care sono quasi tutte italiane. Forse si arriverà a un cambiamento con la generazione dei miei figli».

Che messaggio rivolge alle donne?

«Conosco le parole da usare, perché ho subito il dramma sulla mia pelle. È fondamentale il lavoro, senza l’indipendenza economica una donna sarà sempre schiava. Bisogna avere il coraggio di reagire subito, se una persona prende uno schiaffo una volta senza dire nulla poi subirà per sempre. Non devono commettere i miei stessi errori».

Quando è iniziato il suo incubo?

«Vivo in Italia dall’età di sei anni. La mia famiglia ha organizzato un matrimonio combinato con un uomo che aveva sempre vissuto in India, in un ambiente molto tradizionalista. La situazione è peggiorata quando è nata nostra figlia, anche perché la sua famiglia voleva che il primogenito fosse un maschio. Sono abituata a dire ciò che penso, e lui questo non lo sopportava. Pretendeva che portassi sempre il velo per coprire la testa secondo la tradizione sikh, beveva e mi picchiava quasi tutte le sere. Si infuriava quando volevo indossare un paio di jeans per andare al lavoro. Io non reagivo anche perché ero innamorata, e mi sono isolata da tutti. Fino a quando, esasperata, ho deciso di chiedere la separazione».

Che cosa è successo?

«Quella sera mi ha aggredita in casa, davanti ai figli, e mi ha dato fuoco. Mi sono salvata ma sul volto sono rimasti segni indelebili. Sono stata a lungo in ospedale, e devo ancora sottopormi a un intervento di chirurgia plastica al collo. Le spese mediche sono tutte a mio carico».

Si sente abbandonata dallo Stato?

«Ho avuto giustizia perché lui è stato condannato ed è in carcere, ma penso che per le donne vittime di violenza lo Stato non faccia abbastanza, anche sul fronte dei risarcimenti. Sono convinta che quando lui uscirà dal carcere cercherà di vendicarsi, i suoi parenti mi minacciano ma io non me ne vado, questa è la mia casa e voglio lottare per tutte le donne».