Usura, estorsione e mafia: davanti al giudice i 16 dell’“Atto finale“

Brescia, fermati nell’ambito di un’importante indagine interforze che ha fatto emergere le pesanti infiltrazioni delle cosche

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“Atto finale“, ora la parola passa agli arrestati. Inizieranno oggi in carcere gli interrogatori di garanzia delle 16 persone finite in manette nelle scorse ore in esecuzione di un’ordinanza cautelare - 14 in cella (una è latitante), e due ai domiciliari - nell’ambito dell’indagine interforze della Dia e dell’Antimafia di Brescia. Alle 11 compariranno per la convalida davanti al gip, Riccardo Moreschi, anche tre indagati fermati ieri mattina dai pm Roberta Panico, Erika Battaglia e Carlotta Bernardini con l’accusa di riciclaggio.

Durante la perquisizione domiciliare infatti dai nascondigli più improbabili, tra cui una lavatrice, è saltato fuori mezzo milione di euro. Banconote custodite da un commercialista bresciano, da un disoccupato e da un cittadino indiano. Per chi indaga, i proventi illeciti di una serie di estorsioni e usure continuate e aggravate dal metodo mafioso e di un’associazione per delinquere finalizzata a reati fiscali, anche in questo caso con la medesima aggravante. Dopo oltre tre anni di lavoro carabinieri, finanza e polizia, con il supporto dei colleghi dello Sco di Roma, hanno sferrato l’ennesimo colpo a un gruppo di pregiudicati calabresi – e non solo – ritenuti vicini al clan ndranghetista dei Facchineri di Cittanova, che per esercitare il controllo del territorio – questa la teoria accusatoria – ormai utilizza l’evocazione del proprio carisma, e non ha bisogno di ricorrere sempre alla violenza.

La cosca, radicata nel Milanese da oltre 20 anni, ultimamente risulta in espansione, complice la pandemia, nei territori limitrofi, Brescia in testa, e allunga i tentacoli nei settori dell’edilizia, del noleggio di veicoli e della compravendita di auto, metalli pellet, offrendo protezione e aiuto agli imprenditori. Le manette sono scattate per i cugini Vincenzo e Giuseppe Facchineri e per il cognato del primo Salvatore Muià, e poi per i presunti collaboratori Francesco Scullino, di Desenzano, Raffaele Maffettone e il figlio Leonardo, di Bedizzole (l’ultimo ai domiciliari), Nicola Bonelli, di Brescia, con il milanese Massimiliano Bisci. E ancora, sono in carcere Rocco Zerbonia, di Cazzago San Martino, Vincenzo Caia, di Brescia, Roberto Franzé, di Pumamengo (Bergamo), Fiorin Ionescu, di Brescia, Salvatore Carvelli (ai domiciliari), Francesco Scalise, di Milano. Nell’ambito di una costola della stessa inchiesta, curata dai carabinieri, è stato arrestato anche Stefano Bresciani, di Nave, mentre manca all’appello un calabrese residente nel Mantovano. Al centro della maxiindagine, quattro episodi di estorsioni e usura, con tassi fino al 90%, ai danni di altrettanti imprenditori e professionisti di Brescia e Milano che al culmine della disperazione hanno scelto di denunciare e ora sono sotto protezione dello Stato. Per il gip Riccardo Moreschi, gli arrestati sono "soggetti con precedenti condanne, coinvolti in gravi reati di usura, estorsione e rapina, sintomatici di una elevata professionalità criminale", a elevato rischio reiterazione del reato.

Beatrice Raspa