Una strage che va fermata, partendo da una "rivoluzione culturale"

Le attiviste della rete “Non una di meno” sono scese in piazza a manifestare dopo l’uccisione di Giuseppina Di Luca

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Una strage che va fermata, partendo da una ‘rivoluzione culturale’. Le attiviste della rete bresciana ‘Non una di meno’ non vogliono sentir parlare di gene guerriero, amore malato o frasi simili che tendono a minimizzare la gravità di omicidi, che ha semmai profonde radici culturali. Ieri si sono ritrovate in piazzetta Bell’Italia, nel centro di Brescia, per manifestare dopo l’ennesimo femminicidio registrato in provincia, quello di Giuseppina Di Luca, 46enne uccisa ad Agnosine con una decina di coltellate inferte da Paolo Vecchia, il marito da cui si stava separando e che ora è in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato.

"Organizziamo un presidio ogni volta che c’è un femminicidio", spiega Susanna Bettoni, di Non una di meno. Con il presidio, la rete vuole ridare "volto ed identità ad ogni donna cancellata con violenza dall’esistenza, strappata ai suoi affetti, ai suoi progetti, alle sue speranze da un maschio violento a lei vicino e diamo voce al dolore di chi resta e le amava". Purtroppo l’elenco continua ad allungarsi. Solo nell’ultima settimana, sei donne sono state uccise in tutta Italia: Chiara Ugolini, 27enne di Verona, assassinata dal vicino di casa; Ada Rotini, 46 anni, morta per mano del marito da cui si stava separando, a Noto, in Sicilia; Eleonora Di Vicino, 83 anni, uccisa dal figlio che viveva con lei; Angelica Salis, 60 anni, morta nell’hinterland di Cagliari, accoltellata dal marito; Rita Amenze, 31 anni, uccisa dall’ex-marito mentre andava a lavoro con 4 colpi di pistola. E poi, appunto, Giuseppina Di Luca. "Al di là della diversa età delle vittime e della loro collocazione geografica il dato comune è la violenza di possesso, la prepotenza dei gesti, la brutalità nel dare la morte alle donne dei loro assassini. Non servono nemmeno le armi tradizionali: quasi tutte sono state accoltellate ripetutamente, oppure picchiate, soffocate a mani nude. Tutte avevano detto no a una relazione finita, a un matrimonio da sciogliere, a una brama sessuale non corrisposta o avevano affermato il loro pensiero in un litigio. Tutte hanno cercato di difendersi, ma sono state sopraffatte dalla violenza furiosa, dalla preponderanza fisica ingigantita dall’odio di genere".

Per le attiviste, non si deve cercare una spiegazione neuro-biologica con l’intervento del gene guerriero, come invece è stato chiesto per Kadrus Berisa, dopo che ha ammesso di aver ucciso l’ex compagna Viktoriia Vovkotrub, seppellita nella bocciofila abbandonata in via divisione Acqui a Brescia. "Questo vorrebbe attutire le responsabilità individuali e sociali dei femminicidi in nome di un determinismo biologico. Gli uomini che si sono macchiati del sangue di queste donne sono patriarchi. Giustiziano le donne perché perdono il potere di controllarle, si infuriano perché non possono piegarle alla loro volontà, non sono capaci di accettare la fine di una relazione, lasciano figlie e figli senza madre, non sanno perdere".

Federica Pacella