Brescia, l'ultrà Paolo Scaroni: "Travolto dai colpi dei manganelli"

Anche la Corte d'Appello assolve per insufficienza di prove i poliziotti accusati del pestaggio

Paolo Scaroni

Paolo Scaroni

Brescia, 26 giugno 2019 - Tutti assolti per insufficienza di prove. La corte d’appello di Venezia ieri ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti degli otto poliziotti della Celere di Bologna, L.I., A.T., M.C., M.G., B.N., I.P.e, G.V. e L.B., sotto accusa per lesioni gravissime nei confronti dell’ultrà del Brescia Paolo Scaroni.

Era il 28 settembre 2005. Scaroni, all’epoca 28enne, era in trasferta a Verona per la partita con l’Hellas quando rimase vittima di una scarica di manganellate (tre cariche, 23 feriti) che lo mandarono in coma per due mesi e lo resero invalido al cento per cento. «Scesi dal treno per andare a prendere un panino e una violenta scarica di botte mi colpì. Venni travolto dai colpi dei manganelli. Ricordo che erano girati al contrario, i colpi affondavano nella testa. Poi fu il buio», raccontò.

Il Tribunale di Verona nel 2013 mandò tutti assolti per insufficienza di prove - solo l’autista fu ritenuto estraneo - anche se decretò che alla stazione, dove i bresciani erano stati scortati dopo il match, vi fu «un pestaggio gratuito e immotivato», lancio di lacrimogeni «dissennato e controproducente» nonché «l’uso del manganello vietato dal manuale». Mancava il codice identificativo su caschi e divise, i celerini avevano il volto coperto, e per i giudici non si potevano attribuire responsabilità personali.

Appoggiato dalla Procura, Scaroni ha impugnato il verdetto. La Corte ha ammesso una rinnovazione parziale di istruttoria ascoltando sette testi poco valorizzati in primo grado, Scaroni stesso, tre tifosi che erano con lui e l’ispettrice di Polizia che indagò contro i colleghi (scoprendo un buco nelle videoregistrazioni e verbali cambiati). Per l’accusa, che aveva chiesto condanne a 7 anni, la prova che il pestaggio fosse opera della squadra di Bologna c’è. Ma la Corte d’appello ha ritenuto diversamente. «Ce l’aspettavamo – scuote la testa sconsolato l’avvocato Mainardi che assiste l’ultrà – Il problema ora è che la prescrizione incombe». Il ricorso in Cassazione insomma non è certo.