di Beatrice Raspa
C’è chi ha cambiato telefono, chi l’ha rotto irrimediabilmente, chi non ha fornito il pin. Per fermare un’indagine in cui la prova regina è telematica a volte basta un ostacolo tecnico. Un ostacolo che può rivelarsi insormontabile, davanti al quale anche gli esperti della Postale capita siano costretti ad alzare bandiera bianca. È successo nel caso di “Cometa”, l’inchiesta che nella primavera 2021 aveva fatto finire nei guai per detenzione di materiale pedopornografico e atti sessuali con minorenne (una quattordicenne bergamasca) sei adulti tra i 18 e i 26 anni. Il pm Alessio Bernardi, titolare del fascicolo, non è riuscito a trovare sufficienti elementi per esercitare l’azione penale, quindi ha chiesto – e ottenuto – l’archiviazione.
Curata dalla Postale di Brescia e di Milano, “Cometa” aveva preso le mosse nell’agosto 2020 dalla denuncia della madre della ragazzina, all’epoca in terza media. La donna aveva trovato a casa un pacco contenente biancheria intima recapitato alla figlia, la quale nel medesimo periodo aveva anche cambiato atteggiamento, si era chiusa in sé stessa e si mostrava disinteressata alla scuola. Controllando il cellulare dell’adolescente, era venuto alla luce un retroscena allarmante. Nello smartphone infatti c’erano una serie di video e scatti ose’ dal contenuto inequivocabile che la stessa aveva inviato a una serie di misteriosi contatti maschili.
Gli accertamenti avevano permesso di appurare che durante i lunghi mesi trascorsi in casa, chiusa nella sua cameretta per le restrizioni anti-Covid, la quattordicenne si era avvicinata pericolosamente alla dimensione virtuale scaricando varie app –da Telegram a Instagram passando per Whatsapp – e poi se ne era servita per fare nuove conoscenze. Credendo di avere a che fare con coetanei o poco più, la giovane aveva accettato di spogliarsi, fotografarsi e filmarsi e poi aveva inviato il tutto agli sconosciuti. I destinatari individuati erano appunto sei uomini dai 18 ai 26 anni - quattro operai, uno studente e un muratore - uno di Brescia, due di Bergamo, uno di Taranto e gli altri di Milano, incensurati fatta eccezione per un ragazzo già noto alle forze dell’ordine per rissa. Erano stati iscritti al registro degli indagati.
A loro carico il sostituto procuratore ipotizzava i reati di detenzione di materiale pedopornografico (se non di diffusione dello stesso), e di atti sessuali con minorenne. Al momento di analizzare i telefoni però la Postale, a caccia delle prove materiali della penale responsabilità dei singoli, per problemi appunto tecnici non ha potuto acquisirne il contenuto. E l’indagine si è arenata.