
di Beatrice Raspa
Era a processo per avere tradito la fidanzata con una vicina di casa che all’epoca dei fatti aveva 12 anni. Ora il caso è chiuso. La Cassazione ha respinto il ricorso di un trentenne di Paratico, nei cui confronti è dunque confermata la condanna inflitta in appello a tre anni per atti sessuali con minore. Un verdetto ben più pesante di quello emesso al termine del processo di primo grado, che si era concluso con una pena di un anno e otto mesi. Per l’accusa il giovane tra il 2014 e il 2016 aveva intrecciato una relazione parallela con una conoscente poco più che bambina. Anche se l’imputato ha sempre negato, la Procura gli contestava di avere fatto sesso con la ragazzina. Inizialmente il processo si era aperto per violenza sessuale aggravata, reato poi derubricato in seguito alle ammissioni della ‘Lolita’ in aula: "Avevo rapporti con lui perché ero molto innamorata". I due si erano conosciuti al parco giochi di fronte alla scuola frequentata dalla parte offesa, parte civile con l’avvocato Vittorio Tria. A far saltar fuori tutto fu la fidanzata dell’imputato la quale, intuendo la presenza di una rivale, gli requisì il telefonino scoprendo una serie di chat inequivocabili. Oltre ai messaggi, la fidanzata riferì di avere scoperto dei video a luci rosse che ritraevano gli amplessi dei due (video però mai trovati dagli inquirenti e che la ragazza ha ritrattato di aver visto). In ogni caso la tradita raccontò tutto alla madre della minore, la quale per tutta risposta avrebbe fatto una piazzata all’imputato, piombandogli a casa e aggredendo lui e la fidanzata. Della vicenda il trentenne ha dato un’altra versione, ossia quella di un’amicizia particolare, mai andata oltre i baci, complice la convinzione che la vicina avesse non già 12 anni, ma 16 o 17. Per il pm Ambrogio Cassiani, che aveva trattato il caso e aveva chiesto tre anni e mezzo, il rapporto borderline proseguì anche dopo la scoperta dell’età. Per l’imputato invece si interruppe subito. I giudici di primo grado - presidente, Roberto Spanò - avevano creduto al trentenne e si erano decisi per una condanna mite. Una sentenza però che aveva lasciato l’amaro in bocca alla parte civile la quale, insieme alla Procura generale, l’aveva impugnata. La Corte d’appello aveva riformato il verdetto ritenendo fondata l’ipotesi accusatoria dei rapporti completi, e condannato il ragazzo a tre anni. E la Cassazione ha confermato.