GABRIELE MORONI
Cronaca

L’omicidio di Laura Ziliani: condanna all’ergastolo per le figlie e il genero della vigilessa di Temù

La sentenza per Silvia e Paola Zani e Mirto Milani prevede anche sei mesi di isolamento diurno. Impassibili alla lettura del verdetto

Silvia Zani durante il processo. Nel riquadro, la vittima Laura Ziliani

Silvia Zani durante il processo. Nel riquadro, la vittima Laura Ziliani

Brescia – Dopo poco più di tre ore la Corte d'Assise di Brescia, presieduta da Roberto Spanò, ha pronunciato la sua sentenza: tre ergastoli e sei mesi di isolamento diurno per l'omicidio volontario di Laura Ziliani e la soppressione del suo cadavere. è quanto dovranno scontare Silvia e Paola Zani, figlie di Laura Ziliani, e Mirto Milani (fidanzato della prima ma sentimentalmente legato anche alla seconda), che si sono riconosciuti colpevoli. Il pm Caty Bressanelli aveva chiesto per tutti e tre l’ergastolo e l’isolamento diurno. Sono state riconosciute le aggravanti della premeditazione e, per le figlie della vigilessa di Temù, anche l'avere agito ai danni della madre. Non è stata riconosciuta invece l’aggravante dell’impiego del “mezzo venefico” per l’uso delle benzodiazepine, come aveva chiesto il pubblico ministero.

Laura Ziliani insieme alle figlie Paola e Silvia, e Mirto Milani
Laura Ziliani insieme alle figlie Paola e Silvia, e Mirto Milani

La sentenza

I tre imputati hanno ammesso di avere somministrato alla Ziliani, il 16 aprile del 2021, una tisana con benzodiazepine. Secondo l'accusa sarebbe stata una sorta di prova generale dell'omicidio. I difensori avevano chiesto l'assoluzione dall'imputazione di tentato omicidio per questo episodio perché il fatto non sussiste, dal momento che le benzodiazepine non hanno, da sole, un effetto letale. Per questo episodio il reato di tentato omicidio è stato modificato a lesioni personali aggravate. Quello di occultamento è diventato “soppressione di cadavere”.

Le figlie sono state dichiarate indegne di succedere all’eredità di Laura Ziliani. Il risarcimento sarà in in sede civile, ma intanto è stata stabilita una provvisionale immediatamente esecutiva di 100mila euro a favore di Marisa Cinelli, madre di Laura, di 200mila euro a favore della figlia Lucia, 50mila euro a testa a favore Michele e Massimo, fratelli della vittima. 

Alla lettura del verdetto i tre sono rimasti impassibili. Solo Paola ha avuto un accenno di turbamento. Mirto è stato il primo a essere condotto fuori dall’aula, seguito da Silvia e Paola.  

Il delitto

Era la notte fra il 7 e l'8 maggio 2021 quando Laura Ziliani, nell'abitazione di famiglia, in via Ballardini, a Temù, venne prima stordita con un muffin preparato per la Festa della Mamma, imbottito con una dose massiccia di benzodiazepine e quindi soffocata nel suo letto. Passarono esattamente tre mesi prima che venisse casualmente ritrovato il cadavere, sepolto lungo l'argine del fiume Oglio, a poche centinaia di metri dall'abitazione. Reati terribili commessi da un trio di persone, tutte riconosciute dalla perizia in grado di intendere e di volere e nessuna nelle condizioni di essere suggestionata da parte delle altre due.

Le difese

Le difese hanno chiesto per tutti gli imputati le attenuanti generiche quanto meno equivalenti alle aggravanti contestate e di recuperare, quindi, lo sconto legato al rito abbreviato e per le sorelle Zani il riconoscimento del vizio parziale di mente. 

Il processo

La mattinata è stata dedicata alle repliche. Lunga e serrata l'arringa dell'avvocato Piergiorgio Vittorini, parte civile per Lucia, la figlia secondogenita della Ziliani. Secondo il penalista bresciano andrebbe riconosciuta anche l'aggravante della minorata difesa da parte della vittima, narcotizzata prima di essere uccisa. "C'è stata premeditazione - ha scandito Vittorini - anche nella progettazione e nell'impiego del mezzo venefico. 'Mia madre - lo riferisce Paola - diceva Ehi, ehi e l'ha ripetuto qualche volta. Ha gli occhi aperti. Paola è rimasta sopra la madre tanto tempo perché lei continuava a muoversi, aveva degli spasimi. Sempre Paola ci dice che Paola non si è alzata finché la mamma non ha smesso di muoversi. Per uccidere sono stati necessari dai quattro ai sei minuti. Laura Ziliani si è resa conto di quello che stava succedendo".

Vittorini chiede l'equiparazione delle responsabilità dei tre senza attenuazioni. Tutti e tre hanno preparato il piano nei dettagli condividendo l'acquisto di tute, cuffie e guanti, non per proteggersi dal freddo perché non faceva freddo, ma per evitare di lasciare tracce partecipando a quella macabra e sciagurata recita. Hanno scelto il giorno della Festa della Mamma e Laura ha rinunciato a una gita in montagna con il fidanzato e gli amici. In disaccordo con il pubblico ministero, il legale individua nel movente economico la molla dell'eliminazione di Laura Ziliani. "Tanto è concreto il movente economico, quanto è evanescente quello psicologico. Non è plausibile la tesi di una paranoia che possa giustificare il delitto. Silvia, con puntigliosità risponde al presidente sull'eredità del padre: undici appartamenti divisi in parti legali, valore 500mila euro".

L’altra figlia

Lucia, la sorella, è affetta da un leggero disturbo cognitivo. "Quando il presidente ha chiesto se avessero qualcosa da dichiarare, sarebbe bastato se le sorelle avessero detto: 'Ci dispiace per Lucia'. Se non fosse per l'encomiabile attenzione del Fobap, una istituzione benemerita non solo a Brescia ma in Italia, Lucia non avrebbe di che sfamarsi. È vero, ci sono anche la nonna e gli zii, altrimenti non potrebbe nemmeno sopperire alle proprie esigenze personali. Dicano: 'Sì, ci dispiace per nostra madre e ci impegniamo per Lucia'. Invece niente".

La famiglia di Laura

L'avvocato Monica Baresi, parte civile per la madre e i due fratelli di Laura, prospetta una tesi: "Mirto sapeva bene che Laura Ziliani era la madre di Silvia e Paola. Quindi va estesa anche a lui l'aggravante di avere agito contro l'ascendente". 

La difesa di Mirto

La lacerazione, la disgregazione che con il tempo è avvenuta all'interno del trio, rimbalza pesantemente nelle arringhe dei difensori. Per Mirto Milani, l'avvocato Simona Prestipino, legale del 29enne sopranista lecchese, ribadisce la richiesta di attenuanti generiche per tutti, "l'unico modo per arrivare a una pena di giustizia con finalità educative". Mirto che per motivi di interesse economico, strumentalizza l'odio delle sorelle nei confronti della madre, al punto da fare credere a Silvia e Paola che è lei a volerle avvelenare, come sostenuto da altre difese?

"Mirto - ribatte il difensore - non aveva motivi di odio, era quello che aveva meno interesse e più da perdere. Lo stesso pubblico ministero ha sottolineato che il movente economico è in sottofondo e se c'è stato era secondario. Mirto non è sposato, non ha legami contrattuali con le sorelle. Nella coppia era Silvia ad avere un ruolo dominante. Mirto era la forza-lavoro per la ristrutturazione degli immobili". Perché, allora, Mirto non interviene, non interrompe l'azione omicidiaria? "Quando Mirto entra in quella stanza, Paola sta bloccando la mamma e Silvia la sta strangolando. Si è già a un punto di non ritorno. Mirto si unisce alle sorelle perché non vuole essere espulso da questo rio, perché quella è la sua famiglia, che lo conosce e lo apprezza. E una volta in carcere è il primo a crollare".

La difesa di Paola

L'avvocato Michele Cesari, difensore di Paola, la minore (21 anni) delle sorelle Zani, evidenzia come la sua assistita non abbia preso parte ai tentativi che hanno preceduto l'omicidio. Anzi, nell'estate del 2020, quando ha preso corpo il progetto, si è rifiutata categoricamente di aderirvi. E per quattro o cinque mesi è rimasta sulla negativa. Perché non aveva parole di scusa? "Perché Paola è questa, Non è riuscita a prendere nessun atteggiamento strumentale".

La difesa di Silvia

Silvia Zani, oggi 29 anni. L'avvocato Maria Pia Longaretti ha cercato di confutare la tesi del disinteresse della sua assistita per la sorella Lucia. "C'è stato un intervento di Silvia e Paola per fare arrivare un residuo dello stipendio della madre. Silvia ha lasciato il suo lavoro in una Rsa perché, stando a Temù, non poteva occuparsi di Lucia. Poi è nata la vicenda giudiziaria e per Lucia è stato nominato un amministratore di sostegno. In carcere Silvia ha chiesto di parlare con Lucia e la sua richiesta è stata respinta dal gip. Ha scritto ai familiari e mi risulta che le sue lettere siano state recapitate". La sentenza è attesa nel tardo pomeriggio.