
Giacomo Gazzoli, 74 anni, mostra il foro del proiettile che lo ha colpito alla schiena rendendolo tetraplegico
L’11 novembre 2018 Giacomo Gazzoli, oggi 75 anni, guidava la sua Pegeout tra Corteno Golgi e la frazione di Santicolo quando un proiettile da caccia vagante trapassò la portiera e gli si conficcò tra la terza e la quarta vertebra, lesionadogli il midollo spinale. Da allora il pensionato, originario di Braone e di casa con la compagna a Corteno, è in sedia a rotelle. E l’altro ieri l’unico presunto autore dello sparo, un 37enne del posto, è stato assolto con formula piena.
Gazzoli, che cosa ha pensato?
"Che la mia vita non conti nulla. So che anche la Procura aveva dovuto chiedere l’assoluzione per insufficienza di prove, ma sono molto amareggiato. Alla fine chi ha pagato sono stato solo io. Ho passato anni a girare il mondo per lavoro (da consulente aziendale, ndr), sono andato anche in posti pericolosi senza che mi succedesse mai nulla. E poi dietro casa mi è capitato un incidente così. E il colpevole è impunito".
Partiamo da quella domenica.
"Avevo detto alla mia compagna: dai, stasera usciamo. Eravamo in macchina, andavamo a Santicolo. Con noi c’era il cane. A un certo punto, erano le 15,30, passata una curva ho sentito un rumore che pareva un tuono. Ho capito subito che era stato un colpo di fucile, fino a poco tempo prima ero commissario di tiro al poligono. Sono riuscito solo ad accostare e non ho più sentito le gambe. Se la strada non fosse stata in salita mi sarei schiantato".
E poi?
"Poi è iniziato l’incubo. Sono stato ricoverato un mese a Brescia, poi un altro mese per riabilitazione a Sondalo. La mia sfortuna è stata che l’ogiva del proiettile si è frantumata nella schiena, mi ha tagliato i nervi e il recupero dell’uso delle gambe si è rivelato impossibile. Non solo: così all’inchiesta è sempre mancata una prova cruciale, e questo ovviamente ha inciso".
Come è cambiata la sua vita?
"Tutto è stato stravolto. Prima ero attivo, allenavo le squadre di calcio dei pulcini: ho smesso. Solo una volta sono tornato nella mia casa di Braone perché è al secondo piano e mi ci hanno portato le mie figlie. Ho lasciato perdere. Nell’appartamento in cui vivo oggi ho dovuto mettere l’ascensore, mi è costato 27mila euro. Ho comprato un’altra macchina che ho fatto riadattare e ho fatto un corso specifico di guida. Anche la doccia senza qualcuno che mi aiuti non è fattibile. Non sono più autonomo, ho dolori continui".
La Procura inizialmente riteneva che il colpo fosse stato esploso da un promontorio a 400 metri dalla strada da qualcuno che faceva il tiro al bersaglio contro i cartelli stradali. La difesa dell’imputato invece sostiene che lo sparo sia sfuggito da una regolare battuta di caccia da un altro punto. Lei che idea si è fatto?
"Credo al tiro al bersaglio finito male. Qui a Corteno è abituale che i cacciatori tarino le carabine contro i cartelli, sono tutti dei colabrodo. La cosa assurda è che nessuno si preoccupa, manco l’amministrazione muove un dito. È un’usanza pericolosissima accettata. Penso che in paese si sappia chi mi ha sparato. Ma non si parla, si copre".
Come fa a dirlo?
"Perché quando vado in giro mi guardano male. I cacciatori si proteggono. Speravo in un atto di coraggio, che qualcuno un giorno venisse a citofonarmi per dirmi ‘scusa, abbiamo fatto una cazzata’. Io li avrei perdonati. Invece niente".
Oggi di che cosa si occupa?
"Curo la mia vigna da seduto. E penso al consiglio che mi ha dato la psicologa dell’ospedale: è più importante avere testa che gambe. Ma è dura. Di notte mi sveglio di soprassalto con nelle orecchie il rumore del colpo".