FEDERICA PACELLA
Cronaca

Immigrati, meno soldi alle famiglie. In un anno bruciati 470 milioni: "Il carovita ha eroso i risparmi"

Dal 2023 seconda flessione consecutiva delle rimesse, i contributi inviati ai parenti nei Paesi d’origine. La Lombardia resta comunque prima con 1,8 miliardi spediti. La sociologa: non sono sottratti a noi.

Dal 2023 seconda flessione consecutiva delle rimesse, i contributi inviati ai parenti nei Paesi d’origine. La Lombardia resta comunque prima con 1,8 miliardi spediti. La sociologa: non sono sottratti a noi.

Dal 2023 seconda flessione consecutiva delle rimesse, i contributi inviati ai parenti nei Paesi d’origine. La Lombardia resta comunque prima con 1,8 miliardi spediti. La sociologa: non sono sottratti a noi.

Rimesse degli immigrati dalla Lombardia ai Paesi di origine in calo per circa 470 milioni. Con 1,8 miliardi di euro, la regione resta al primo posto per volume di rimesse: da qui parte, in pratica, un quinto del totale nazionale. Nel 2024, però, i dati di Banca d’Italia, elaborati dalla Fondazione Leone Moressa, sono in calo in quasi tutte le province lombarde rispetto al 2023: si va dal -6,7% della provincia di Bescia (221 i milioni inviati all’estero dagli immigrati residenti) al -5,6% di Bergamo (153 milioni) al -2,7% di Milano; in positivo Monza (+2,6%), Varese (+1,5%), Pavia (+2,9%).

Il calo medio a livello regionale è stato di -2,6%, anche se, guardando il dato sul lungo periodo, rispetto al 2014 l’aumento è stato del 35,7%. Nei dieci anni, a crescere maggiormente sono le rimesse inviate dalla provincia di Monza-Brianza (+104,3%), seguita da Lodi (+79,8%) e Varese (+63,2%). Il dato 2024 conferma il calo già registrato nel 2023 rispetto al 2022. Come leggerlo? "Possiamo fare delle ipotesi – spiega Maddalena Colombo (nella foto), docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università Cattolica, direttrice del Centro di Iniziative e ricerche sulle migrazioni della sede bresciana dell’ateneo –. L’aumento del costo della vita, che ha eroso i risparmi è una prima ipotesi. Oppure una maggiore mobilità transnazionale, per cui le persone portano i soldi con sé anziché inviarli in patria con strumenti che permettono la tracciabilità. La terza ipotesi, infine, che è però un interrogativo da esplorare, è una maggiore autonomia dalla famiglia di origine".

Con la maggiore stabilizzazione dei migranti, per alcune nazionalità potrebbe esserci stato un affievolimento del legame con la famiglia, in alcuni casi determinato anche dal dubbio su come vengono spesi i soldi inviati. "Questo non vale per tutti, perché ci sono nazionalità per le quali l’invio delle rimesse è un obbligo non solo economico, ma anche sociale. In certe condizioni, però, è possibile che la perdita di lavoro, la crisi economica, il rincaro delle bollette, la minore spesa sociale dei Comuni che impatta soprattutto sulle fasce più povere possano giustificare una riduzione delle rimesse, che sono anche un’affermazione di nuova autonomia".

La riduzione dei volumi di soldi inviati nei Paesi d’origine non è una buona notizia per la collettività. "Va scardinata la lettura colonialista per cui le rimesse sarebbero soldi che gli immigrati portano via dal Paese – sottolinea Colombo –. Intanto, chi lavora qui, a meno che non sia irregolare per causa di datori che non mettono in regola, le tasse le paga, per cui ha già restituito e contribuito al Pil. In realtà, le rimesse sono una forma di prevenzione dell’immigrazione successiva, sono una forma di cooperazione attiva, allo sviluppo, che va ad aiutare chi è nel Paese d’origine".